Integratori, settore su cui investire?

Quello degli integratori è un settore sul quale conviene investire? Dipende dai punti di vista e soprattutto dalle idee che si hanno.

Settore ancora remunerativo quello degli integratori?

È una riflessione questa che nasce dalla chiusura, per molti improvvisa virgola di Foodspring, una delle realtà più importanti a livello europeo di integrazione. Per anni questa azienda tedesca è stata in grado di affermarsi come uno degli interlocutori migliori sul mercato, nella sua fetta specifica di competenza.

Nel 2019 è avvenuta la vendita all’americana Mars. E oggi ci troviamo davanti a una chiusura che non dà via di scampo. Più nello specifico l’azienda ha sottolineato di essere stata costretta alla chiusura per via delle difficili condizioni di mercato. Analizzando la situazione è facile scoprire come, a livello europeo e non solo tedesco, siano altri i nomi che al momento stanno spopolando.

Alcuni sono nuovi, altri sono realtà ben consolidate che si sono andati affermando anche per elementi diversi dalla integrazione. Parliamo di realtà come di GymBeam, My protein e Prozis. I giornali tedeschi ipotizzano come cause della caduta di Foodspring il crollo di visite al sito e di conseguenza un numero minore di ordini, una campagna marketing troppo costosa e priva dei risultati necessari e i reclami subiti in merito agli integratori.

Si tratta di tutti elementi che messi insieme, soprattutto se la concorrenza è importante, rischiano di affossare un’attività. E ci portano naturalmente a chiederci se effettivamente quello degli integratori sia un mercato sul quale conviene ancora investire.

Investire con giudizio anche nel marketing

La risposta è affermativa, a patto però che lo si faccia nel modo giusto. Non solo vendendo degli integratori di livello che siano in grado di mantenere ciò che promettono. Ma anche dando vita a delle campagne marketing efficaci che non costino eccessivamente.

Gettando uno sguardo alla realtà italiana è palese come vengano utilizzati influencer e più nello specifico quelli che effettivamente fanno uso dei prodotti. Offrendo talvolta personalizzazione a questi, in modo tale da attirare una maggiore clientela.

È importante, se si vuole investire in questo settore, comprendere che è di fondamentale rilevanza rimanere sempre aggiornati. Quello degli integratori è un mondo non legato esclusivamente alla realtà del fitness. Riuscire nel dare sempre alla propria clientela ciò di cui ha bisogno in base al momento consente di rimanere sulla cresta dell’onda.

Con molta probabilità qualcosa che non è riuscito tendenzialmente di fare all’azienda tedesca. Chiunque voglia investire in questo settore deve ricordare che osservare e intercettare le esigenze della clientela è fondamentale.

Mario Draghi, attenzione a dazi e investimenti

Mario Draghi bacchetta l’Unione Europea, lanciando un allarme nei confronti della politica economica anche presso l’European Parliamentary Week di Bruxelles, sottolineando come l’Europa necessiti di agire unita e in fretta.

Mario Draghi a proposito di dazi

E non solo sulla questione Ucraina, ma anche per ciò che concerne dazi e investimenti. Soprattutto per bloccare gli effetti della politica protezionistica di Trump che potrebbe causare molti danni agli Stati membri europei. In particolare per via degli effetti che questa ulteriore tassazione sulle importazioni dalla Cina potrebbero avere sulla ricollocazione di quei beni. Uno tsunami che potrebbe investire l’Europa e danneggiare il mercato delle industrie italiane.

La situazione è tutt’altro che rosea, come sottolinea Mario Draghi e la necessità di rispondere uniti come Europa si fa sempre più importante sotto ogni punto di vista. Secondo l’ex governatore della BCE  i dazi imposti sulle importazioni dall’Europa e dalla Cina reindirizzeranno in particolare la sovraccapacità produttiva cinese all’interno dell’Unione.

I dazi essenzialmente, infatti, “ostacoleranno l’accesso”, spiega Mario Draghi, al più grande mercato di esportazione europeo. Qualcosa che già preoccupa le grandi aziende presenti in Europa rispetto alla perdita di accesso generalizzata al mercato degli Stati Uniti.

L’ex premier ha sottolineato come vi potrebbe essere bisogno di dover affrontare, in modo importante, l’applicazione di politiche pensate per invogliare le aziende europee a produrre maggiormente negli Stati Uniti. Potrebbero essere usati strumenti come tasse più basse, deregolamentazione ed energia più economica. Bisogna essere abbastanza attenti da non cadere in questa trappola, in modo tale da non affondare involontariamente le imprese all’interno degli Stati membri.

Importanza dell’intelligenza artificiale e di giuste riforme

donald trump vuole taglio tassi di 100 punti

Soprattutto ricordando che l’America ha bisogno di una maggiore produzione negli Stati Uniti delle aziende estere in modo tale da combattere l’effetto inflazionistico che l’apposizione dei dazi nei confronti della Cina e dell’Europa (soprattutto) avranno sull’economia.

Mario Draghi nel corso del suo intervento non ha mancato di parlare di intelligenza artificiale e di come questa stia man mano migliorando, diminuendo i costi di formazione. Ma anche di come ancora la maggior parte dei progressi e degli investimenti avvenga al di fuori nei confini europei.

È importante che l’Unione Europea non rimanga estranea al progresso di questo settore in modo da rimanere competitiva. Dovrebbe, infatti, approfittare del calo dei costi per investire e recuperare terreno. Per quel che concerne i mercati capitali sottolinea come offrendo un tasso di rendimento più competitivo e una maggiore efficienza sarà possibile mantenere i propri risparmi all’interno dei confini europei.

Cosa comporterebbe questo? Come spiega l’ex presidente della BCE una maggiore riserva di capitale privato per finanziare industrie consolidate e nuove tecnologie. Mario Draghi su questo è molto chiaro: riforma adeguate consentiranno maggiori investimenti e una crescita più ampia.

Open Ai e X, lotta tra Musk e Altman

Open Ai è tornato a essere la fissazione di Elon Musk. Ma a quanto pare al momento Sam Altman, il suo inventore, sembra non avere assolutamente intenzione di cedere. Nemmeno davanti a grandi cifre offerte.

Open Ai e le mire di Elon

Dobbiamo infatti sottolineare che un consorzio di investitori capitanato proprio dal ceo di Tesla sarebbe interessato ad acquistare per ben 97,4 miliardi di dollari l’organizzazione no profit che controlla Open Ai. È decisamente chiaro a ogni esperto che sia in atto una nuova battaglia tra Sam Altman ed Elon Musk. E’ il Wall Street Journal a svelare i retroscena della questione, raccontando come l’avvocato del patron di Space X avrebbe già presentato l’offerta al consiglio di amministrazione di Open Ai.

Va sottolineato che tutto ciò rappresenta effettivamente un problema per Altman. O meglio per i suoi piani legati alla conversione della associazione no profit in una società a scopo di lucro. Con una spesa calcolata fino a 500 miliardi di dollari in infrastrutture di intelligenza artificiale grazie a una joint venture di nome Stargate.

Dobbiamo anche ricordare che attualmente per quel che riguarda la direzione di Open Ai Elon Musk e Altman sono già impegnati l’uno davanti l’altro in tribunale. Il ceo di X vuole infatti che open Ai ritorni a essere la “forza open source e incentrata sulla sicurezza per sempre che era una volta”.

La no profit creata da entrambi nel 2015

Per chi non lo sapesse questa è stata infatti fondata da Sam Altman ed Elon Musk nel 2015 come ente di beneficenza. Una sussidiaria a scopo di lucro è stata creata dopo che Altman è diventato amministratore delegato in seguito all’abbandono di Musk nel 2019. E’ attraverso di questa che vengono raccolti i fondi degli investitori per lo sviluppo della tecnologia.

La risposta di Sam Aaltman alla proposta di acquisto di Ppen Ai da parte di Musk non si è fatta attendere. “No grazie”, ha risposto su X. “Ma compreremo Twitter per 9,74 miliardi di dollari se vuoi”. Musk non ha preso benissimo la risposta, dando del truffatore ad Altman.

È possibile prevedere come questa non sarà l’ultima mossa di entrambe le parti. Soprattutto perché attualmente sono diverse le denunce presentate dal padron di Tesla nei confronti di Altman in merito alla no profit da loro creata10 anni fa. Tra le accuse anche quella di una collusione con Microsoft, il più grande investitore di Open Ai, per il dominio della tecnologia dell’intelligenza artificiale.

Chissà se il consiglio di amministrazione della società di Altman sarà intenzionato a seguire la linea del suo fondatore.

Cina, risposta dura ai dazi di Donald Trump

La Cina non rimane a guardare davanti ai dazi apposti dal presidente Donald Trump. E risponde immediatamente con una tassazione del 15% sul carbone e sul gas americano.

La risposta della Cina a Trump

Presentando in modo contestuale un ricorso contro Trump alla World Trade Organization. Va detto che la Cina non ha perso tempo, rispondendo in modo mirato. Fattore questo che le consentirà, con molta probabilità, di evitare particolari ritorsioni da parte degli Stati Uniti.

Analizzando infatti ciò che è stato fatto finora, va detto che non viene attualmente minata la possibilità di trovare una soluzione tra le due parti. Soprattutto perché viene lasciata aperta una strada potenziale di negoziazioni. Un approccio simile a quello intrapreso dall’Unione Europea. Ovvero la messa in discussione di determinate soluzioni per vedere quanto margine c’è prima di reagire in modo più duro e privo di sbocchi.

I dazi cinesi entreranno in vigore dal 10 Febbraio e saranno posti, come già anticipato, su carbone e gas naturale liquefatto per il 15%, del 10% sul petrolio, sulle auto di grossa cilindrata, pick-up e macchinari agricoli. Allo stesso tempo vi saranno controlli con effetto immediato sull’export di materiali legati al tungsteno. Inserendo inoltre nell’immediatotre aziende americane nella blacklist: Illumina per quanto riguarda il biotech e Calvin Klein e Tommy Hilfiger per quel che riguarda la moda.

Possibilità di un confronto

Donald Trump ha posto dei tassi già attivi dal primo febbraio contro la Cina. Ma ha allo stesso tempo sottolineato di avere intenzione di chiamare Xi Jimping per discutere della situazione. Gli analisti di Bloomberg sostengono come la scelta di una risposta mirata da parte della Cina sia volta a evitare uno sviluppo incontrollato della guerra commerciale tra le parti. Soprattutto perché lo Stato orientale al momento non gode di un’economia ti in salute come in passato. E gestire male la questione dazi potrebbe essere controproducente.

Allo stesso tempo però il Ministero delle Finanze cinesi ha deciso di presentare ricorso presso l’Organizzazione mondiale del Commercio contro gli Stati Uniti. Ovviamente per la sua forma di imposizione unilaterale dei dazi. Sebbene Donald Trump non riesca a capirlo, apporre dazi non solo non sarà di aiuto all’economia americana ma rischia anche di rovinare i rapporti di cooperazione commerciale di Washington.

Analizzando la situazione nello specifico bisogna sottolineare comunque che, pensando al gas e al petrolio, l’importazione della Cina dagli Stati Uniti è stata molto bassa. E anche per ciò che riguarda Illumina e quindi Google sembra più un’azione simbolica dato che e dal 2010 che il paese non sfrutta più i suoi servizi di ricerca e di Internet.

Fwu verso fallimento, cosa succede alle polizze?

Fwu sta fallendo: che fine faranno le polizze vita dei consumatori che le hanno sottoscritte? Si tratta di una domanda alla quale si necessita di trovare velocemente risposta.

Cosa sta accadendo con Fwu nel settore assicurativo

La compagnia sta andando verso la liquidazione: cosa succederà ai 100.000 italiani che hanno sottoscritto una polizza con il suddetto gruppo assicurativo? Sebbene manchino ancora diversi dettagli, in teoria, il controvalore delle polizze vita Fwu è stimato coinvolgente il nostro paese dovrebbe essere pari a circa 300 milioni di euro.

L’autorità di vigilanza del Lussemburgo ha fatto sapere che il piano di rientro pensato per la compagnia Fwu è fallito e che di conseguenza è stata presentata al tribunale una richiesta, da parte loro, di scioglimento e messa in liquidazione coatta.

Per diverso tempo si è cercato di salvare la compagnia, cercando di fare il meglio per tutti coloro che avevano sottoscritto un’assicurazione con loro. Purtroppo però il commissario Yaan Baden, chiamato a risolvere la situazione, non è riuscito a riportare il gruppo assicurativo entro i parametri previsti per la solvibilità.

Ricordiamo che Fwu opera in Italia fin dal 2006, occupandosi principalmente di polizze vita unit linked. L’Authority lussemburghese stata molto chiara in merito all’accaduto. La stessa compagnia assicurativa ha informato infatti il commissariato di non rispettare più i requisiti legali collegati alla copertura del requisito minimo di capitale (Mcr) nonché quelli legati al requisito patrimoniale di solvibilità (Scr). Senza contare le passività assicurative con attività rappresentative ammissibili.

Per tale ragione, in base all’art. 124 della Lsa o Legge sul settore assicurativo si è cercato di spingere la compagnia Fwu ad adottare tutte le misure necessarie attraverso un piano di risanamento da concludere entro il 19 gennaio 2025.

Le polizze rimangono quindi congelate

Purtroppo il gruppo non è stato in grado di assolvere alle richieste, portando al fallimento del piano di risanamento. Riproponiamo la domanda: cosa succede alle polizze vita stipulate e di conseguenza anche a quelle sottoscritte tagli italiani? Al momento non vi sono effetti immediati né sulla procedura legale di sospensione dei pagamenti né sul congelamento delle attività rappresentative delle riserve tecniche presso gli istituti depositari.

Tradotto in parole più semplici, le polizze non possono essere riscattate rimanendo congelate. Questo si traduce per tutti quanti i sottoscrittori nell’avere pazienza di attendere quelle che saranno le procedure di fallimento che avverranno. Sperando che la liquidazione della compagnia possa essere in grado di sostenere il pagamento delle polizze.

Evitando quindi che i consumatori perdano totalmente il proprio investimento.

Bonifici istantanei, da oggi senza costi aggiuntivi

I bonifici istantanei smettono da oggi di avere costi extra. Si tratta della prima tappa di un processo che porterà questo particolare prodotto bancario a essere tanto diffuso quanto il bonifico tradizionale.

Cosa cambia per i bonifici istantanei

Sembra una problematica di poco conto, ma in realtà quella dei bonifici istantanei è una storia che potrebbe davvero modificare in maniera sostanziale il rapporto della clientela con la propria banca e con il mondo del lavoro. Da oggi 9 gennaio, i bonifici istantanei dovranno essere offerti allo stesso prezzo di quelli ordinari. E non solo: gli istituti di credito saranno obbligati ad accettarli.

Tutto questo è dovuto al nuovo Regolamento UE 2024/886 che sancisce le nuove norme in merito, rivedendo la Direttiva sui pagamenti con l’obiettivo di rendere più facile per le imprese e per i consumatori l’accesso a questo particolare strumento bancario. Non dobbiamo infatti dimenticare che bonifici istantanei, fino a ora, erano accompagnati da un sovraccosto. In alcuni casi si trattava di una cifra fissa, in altri di una fissa più una percentuale che rendeva l’uso di questo strumento particolarmente gravoso dal punto di vista economico.

Una criticità questa, ovviamente, che cagionava anche la scarsa diffusione dello stesso. Come parzialmente anticipato, questo non sarà l’unico passo che le banche saranno costrette a fare in merito ai bonifici istantanei per via della normativa europea.

In futuro vi saranno maggiori obblighi

In base a questa, infatti, è previsto per il prossimo 9 ottobre un ulteriore passo in avanti. Ovvero quello dell’obbligo per le banche di offrire il servizio di bonifico istantaneo e non solo di rendere possibile la loro ricezione. Dobbiamo ricordare che questo tipo di strumento può essere disposto a qualsiasi ora del giorno e della notte e per tutti i giorni dell’anno. A differenza di quello ordinario che è limitato semplicemente ad alcune ore dei giorni feriali.

Quante volte si hanno avuto problemi, anche nel far fronte a eventuali pagamenti perché il bonifico che aspettavamo non arrivava? C’è chi addirittura lo vorrebbe trasformare in un metodo di pagamento al pari di una carta di credito. Non sappiamo dirvi se i bonifici istantanei potranno essere utilizzati con facilità in questo modo, ma di certo possono rappresentare un ottimo supporto.

Da oggi sarà possibile pagare con i bonifici istantanei anche la Pubblica amministrazione. In questo modo il pagamento effettuato sarà accreditato sui conti della stessa entro i 10 secondi dall’invio della operazione. Insomma, saranno differenti cambiamenti che questo obbligo nei confronti dei bonifici istantanei porterà. Rendendo più semplice la vita a consumatori e imprese.

Fastweb e Vodafone, confermate le nozze

Fastweb e Vodafone Italia possono ufficialmente convolare a nozze. Swisscom infatti ricevuto il via libera lo scorso 31 dicembre, a questa importante unione. Ovviamente ottenendo tutte le autorizzazioni necessarie del caso.

Cosa accade con la fusione di Fastweb e Vodafone Italia

Swisscom ha potuto, in questo modo, completare l’acquisizione della branca italiana del gruppo inglese di telefonia dando origine, in questo modo, un operatore risultato dell’unione tra Fastweb e Vodafone Italia. Walter Renna, amministratore delegato di questo nuovo operatore esprime apertamente la soddisfazione relativamente all’operazione.

Inauguriamo una nuova era delle telecomunicazioni in Italia”: sono state queste le sue parole. Il manager ha, allo stesso tempo, sottolineato come queste due realtà fondamentali della telefonia italiana si siano riunite in una nuova dalla maggiore forza e più importante innovazione. Un’azienda che si occuperà di portare l’Italia, nell’ambito delle telecomunicazioni, verso un futuro sostenibile sia per i consumatori che le aziende.

Per quel che riguarda i marchi, sia Fastweb che Vodafone Italia continueranno a essere sfruttati a livello commerciale, nonostante la gestione congiunta delle due società. Le nozze confermate tra Fastweb e Vodafone sono caratterizzate da numeri importanti: parliamo di più di 20 milioni di linee mobili e circa 5,6 milioni di linee fisse.

Questo farà della società di nuova fattura il principale operatore per infrastruttura presente sul territorio italiano nel mercato delle telecomunicazioni. Potendo contare su più di 74.000 km di rete fissa e 20.000 siti radio mobili. Numeri che garantiscono una copertura importante su tutto il territorio nazionale per entrambe le modalità di cui il 50% in FTTH.

Presenza capillare sul territorio

Per quel che riguarda le infrastrutture, appare evidente che Vodafone Italia e Fastweb siano in grado di assicurare una presenza di tipo capillare sul territorio. Nella nota emessa ad annunciare l’unione tra le due aziende, è stato evidenziato come finanziariamente queste nozze porteranno a economie di scala, a sinergie pari a circa 600 milioni l’anno a regime e a una struttura dei costi più efficiente.

E questo porterà la società risultante ad avere una capacità finanziaria importante. In grado quindi di proseguire sulla linea degli investimenti, sia per quel che riguarda l’innovazione sia per quel che concerne le infrastrutture. A favore del mercato, delle imprese e dei consumatori.

Swisscom, con la conferma delle nozze, ha rivisto le previsioni dei propri margini perché necessitante di contabilizzare i costi fino a concorrenza di 200 milioni di euro. Le previsioni ebitda adeguate al 2024 sono tra i 4,3 e i 4,4 miliardi di franchi svizzeri (prima erano rispettivamente 4,5 e 4,6 miliardi). È stato evidenziato, inoltre, come non vi saranno conseguenze sul free cash flow dell’anno appena trascorso rimanendo intoccati anche gli investimenti, le previsioni per il fatturato e i dividendi.

Cina pronta ad emettere bond speciali?

La Cina è pronta a emettere bond speciali? È una domanda che si stanno ponendo in molti e che sembrerebbe in procinto di trovare una risposta positiva.

Cosa sta accandendo in Cina

Pechino sta analizzando la situazione attuale a pochi giorni dall’insediarsi di Donald Trump come prossimo presidente degli Stati Uniti. E le previsioni, come d’altronde si ha idea anche in Europa, non sono così positive come si vorrebbe. Soprattutto per un fattore. La possibilità che vengano introdotti dei dazi che peseranno moltissimo sull’import e l’export di tutto il mondo.

Inutile prendersi in giro: eravamo tutti coscienti che Donald Trump volesse ritornare ad avere la stessa politica protezionistica del suo primo mandato. Forse non se ne sono resi conto coloro che lo hanno votato.

La Cina, che negli ultimi anni ha comunque confermato il suo ruolo di leader mondiale, si trova adesso davanti a un bivio decisamente interessante. Soprattutto perché deve decidere se continuare sull’attuale linea o abbandonare quello che il “Quotidiano del popolo”, Organo ufficiale del Partito comunista, definisce il culto della velocità.

È palese che sia il Governo che gli esperti cinesi in economia si stiano chiedendo se sia il caso di sacrificare una crescita sul lungo periodo per mantenerne una veloce sul breve periodo. Il punto è comune a molti altri Stati nel mondo: la domanda interna non riesce a soddisfare la crescita.

I dazi spaventano l’economia

E con la possibilità di dazi incombenti, la Cina deve porsi le giuste domande e darsi le giuste risposte in tal senso. Perché saranno sicuramente le importazioni e le esportazioni a subire cali importanti. Senza dimenticare che per quel che riguarda il paese orientale pesa molto il crollo di realtà come Evergrande, nel settore immobiliare. Il contraccolpo in quel caso si è fatto sentire. E per quanto possa sembrare difficile da accettare soprattutto per la Cina la dipendenza dall’export è decisamente elevata.

La Cina potrebbe decidere effettivamente di emettere dei bond speciali. Ma non rappresentano assolutamente la soluzione a qualcosa che deve essere pensato capillarmente. E altrettanto dovrebbe fare l’Europa che si troverà, analogamente, ad avere a che fare con gli stessi problemi. Tenendo conto del fatto che alcuni Stati più di altri, a causa del debito, sono più vulnerabili a determinate sollecitazioni.

L’Italia, tra l’altro, è uno di questi. E sarà necessario pensare bene le proprie strategie, soprattutto per quel che concerne l’esportazione. C’è da chiedersi se eventuali amicizie politiche saranno in grado di ovviare a quelle che saranno le naturali ripercussioni dell’economia voluta da Donald Trump.

Stellantis, ecco il piano per l’Italia

Stellantis rimarrà in Italia, ma avverte già che il 2025 sarà un anno davvero difficile. La priorità data al nostro paese rappresenta un maggiore costo?

Cosa ha proposto Stellantis

È una bella domanda da porsi, ma quel che è emerso dal tavolo col Ministero delle Imprese e del Made in Italy è abbastanza chiaro. Stellantis rimane in Italia e promette di mantenere un rapporto prioritario caratterizzato da conservazione dei posti di lavoro e da sviluppo.

Con la differenza, rispetto al passato, che stavolta un piano sembrerebbe esserci. Non vi sarebbero solo promesse. Il responsabile europeo di Stellantis, Jean Philippe Imparato, ha sottolineato come il “treno della storia” non si fermi due volte nello stesso posto. Per l’Italia si parla di due miliardi di investimenti da impegnare il prossimo anno, con un incremento di sei miliardi di acquisti dai fornitori operanti in Italia.

Le previsioni vogliono il raggiungimento di una crescita produttiva del 50% del 2026 e un piano di produzione specifico per ogni stabilimento fino almeno al 2032. L’obiettivo sarebbe quello di riuscire a coprire almeno l’80% del mercato europeo totale dell’automotive.

Si tratta ovviamente di un piano ambizioso, soprattutto se pensiamo all’attuale situazione nella quale Stellantis naviga, soprattutto per quel che concerne la situazione occupazionale. Il manager del gruppo Italofrancese ha assicurato che tutti gli stabilimenti italiani rimarranno aperti. Ma ha confermato allo stesso tempo che si tratterà di un anno molto duro.

Nessun aiuto pubblico è previsto per gli investimenti

Il fattore interessante del discorso di Imparato riguarda il fatto che il piano presentato al Ministero delle Imprese e del Made in Italy non prevede nessun aiuto pubblico. Gli investimenti saranno finanziati con risorse proprie.

Torino rimarrà una città centrale per la produzione e la soluzione per gli stabilimenti è stata trovata grazie ha una produzione di tipo ibrido per i modelli. Pomigliano è attualmente il polo che presenta almeno sulla carta le migliori soluzioni. La produzione della Panda continuerà infatti fino al 2030, comprendendone una di nuova generazione. E nel 2028 verrà apportata la piattaforma Stla smart.

L’Esecutivo, da parte sua, ha deciso di impegnarsi nei confronti di tutto il settore dell’automotive destinando 1,6 miliardi nel triennio 2025 -2027. Due terzi delle risorse saranno elargite direttamente il prossimo anno.

A tutto ciò dovrebbero aggiungersi anche 500 milioni di euro provenienti dal PNRR per i contratti di sviluppo dei settori in transizione. Importante: le risorse promesse dall’Esecutivo non andranno a coprire la cassa integrazione. Ma dovranno essere utilizzate per contratti di sviluppo, mini contratti di sviluppo e accordi per l’innovazione.

Stellantis, si pensa a Luca Maestri come nuovo ceo

Per Stellantis si profila la possibilità di avere come nuovo ceo Luca Maestri, noto per il suo contributo manageriale prestato all’azienda di Cupertino, ovvero la Apple.

Chi è Luca Maestri

È questo il nome che sarebbe già in mano al presidente John Elkann per sostituire Carlos Tavares. Luca Maestri è attualmente vicepresidente e direttore finanziario di Apple: un nome di esperienza e caratura quindi. Maestri dovrebbe lasciare il suo ruolo presso il colosso fondato da Steve Jobs giusto in tempo per poter entrare in Stellantis all’inizio del 2025.

Dobbiamo ricordare infatti che lo scorso agosto si è dimesso dalla Apple e all’inizio del prossimo anno finirà il periodo di preavviso necessario per lasciare l’azienda di Copertino. Piccola nota di colore: è anche un gran tifoso della Juventus.

Chi è questo manager che entrerà a far parte di Stellantis? Classe 1963 virgola dopo gli studi al liceo classico si è laureato in Economia presso la Luiss Guido Carli di Roma, completando un master in Science of management presso la Boston University. Parliamo di un manager che ha 26 anni ha lasciato l’Italia per iniziare la sua carriera negli Stati Uniti. Dopo un periodo alla General Motors dove era diventato direttore finanziario occupandosi tra le altre cose della joint venture con Fiat, e poi passato per Nokia Siemens, per Xerox approdando in Apple nel 2013.

Pur essendo stato uno dei consiglieri più fidati del presidente di Apple Tim Cook, Luca Maestri ha deciso di cambiare nuovamente. E questo potrebbe rappresentare per Stellantis un nuovo ottimo punto di partenza se il suo nome dovesse essere davvero confermato. Le sue capacità hanno contribuito a far raggiungere ad Apple un valore di ben 229 dollari ad azione dai 20 di partenza.

Potrebbe essere il nome giusto per Stellantis

Va da sé che potrebbe avere effettivamente l’esperienza necessaria per risollevare Stellantis sia in Italia che negli Stati Uniti. E’ la forma mentis di questo manager a essere particolarmente interessante. Ha raccontato infatti in una serata organizzata dalla sua università, qualche anno fa, come sia importante imparare direttamente sul campo, soprattutto sbagliando.

Stellantis ha bisogno di ripartire da qualcuno che si dimostri diverso rispetto a Carlos Tavares. Sia per riguadagnare la fiducia degli stakeholder e degli investitori, sia per quella dei lavoratori. I quali stanno pagando molto più di altri lo scotto di strategie non particolarmente brillanti.

Sarai in grado il manager di salvare la situazione? Se il suo nome venisse confermato di certo i primi mesi del prossimo anno saranno fondamentali per comprendere quale sarà il futuro di Stellantis.

Beko, previsti 1935 licenziamenti in Italia

Beko è pronta a licenziare quasi duemila persone in Italia. Ben 1935 esuberi posti sul tavolo delle trattative con i sindacati e il Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

Cosa sta accadendo con Beko

Numeri inaccettabili se si pensa all’occupazione. Non è una novità che, per quel che riguarda l’attività di Beko, potessero esservi delle criticità. Il piano industriale presentato dalla società sottolinea come l’impresa non sia intenzionata a rimanere ferma ma ad attivarsi per limitare le sue perdite. In modo diretto e preciso.

L’intenzione in Italia è quella di ridimensionare, principalmente. Basti pensare che è prevista la chiusura di due poli e il ridimensionamento di un centro di ricerca e di un ulteriore stabilimento. Per quel che riguarda le chiusure sono coinvolti i siti di Comunanza (Ascoli Piceno) e Siena, che si occupano rispettivamente di lavatrici e congelatori.

Perché Beko vuole ridimensionare quei due settori? Semplice: per poter rafforzare quello della cottura, attualmente l’ambito nel quale ci sono le maggiori possibilità di guadagno. I dati relativi a chiusure ed esuberi provengono direttamente dall’incontro tra la società, le parti sociali e il ministero.

I sindacati hanno già annunciato proteste e manifestazioni e il Governo ha sottolineato che farà uso del Golden power. La situazione di Beko è la seguente: deve migliorare le proprie performance limitando i danni. E questo per lei significa eliminare i rami secchi. Puntando a investire di più su quegli ambiti che al momento risultano maggiormente produttivi.

Previsti anche investimenti

È per tale ragione che pur prevedendo tagli, il piano industriale ha previsto anche investimenti impiegati in quei settori ritenuti più redditizi. All’interno di una nota è stato spiegato che è la situazione economica e lavorativa globale a rendere necessario un riequilibrio delle produzioni, puntando a preservare in Italia quelle che sono le attività che danno profitto e che risultano essere sostenibili.

Per l’Italia è comunque previsto un ruolo centrale nella produzione della categoria cottura. Nonostante questo, i tagli dovranno essere eseguiti per poter dar spazio all’innovazione dei processi produttivi e ai nuovi prodotti, in sviluppo con un maggior contributo della robotica e l’automazione della logistica.

Questo si traduce in chiusura dei siti in perdita, modificando il modificabile e investendo su ciò che ha maggiori prospettive. Come già evidenziato tagli e chiusure toccheranno i siti dediti al lavaggio e alla refrigerazione. A Siena non verranno investiti ulteriori fondi per via delle perdite accumulate nel corso degli ultimi cinque e lo stesso verrà fatto da Beko in merito al sito di Ascoli Piceno.

Dobbiamo sottolineare che per entrambi è previsto un processo di re-industrializzazione per riconvertire le attività produttive. Gli esuberi colpiranno in particolare gli operai per oltre mille unità, dirigenti e impiegati.

 

Ita Airways e Lufthansa, trovato accordo in extremis

Ita Airways e Lufthansa sono riuscite a trovare in extremis un accordo, salvando il lavoro fatto fino a questo momento. Rendendo possibile la chiusura dello stesso.

Cosa è successo con Ita Airways nelle ultime ore

Nelle settimane scorse si erano presentate alcune criticità quando Lufthansa ha chiesto uno sconto sul prezzo a Ita Airways. Lasciando la compagine italiana sconvolta dalla richiesta. Con tutti quanti timorosi che l’intesa potesse saltare. Nonostante tutto il lavoro fatto per poter ricevere il via libera dalla Commissione europea.

Non dobbiamo dimenticare tutti quei mesi nei quali il vettore italiano e quello tedesco hanno lavorato per trovare una quadra. Ma soprattutto rispondere alle esigenze relative alla concorrenza richieste dall’Antitrust europeo. Ieri è stato possibile quindi, infine, consegnare I documenti necessari a Bruxelles affinché questa operazione possa concludersi definitivamente.

Non è stato facile, c’è voluto molto impegno da parte dei legali di entrambe le parti. Soprattutto perché lo sconto sul prezzo richiesto dai tedeschi in base al contratto, non è stato ritenuto tale dal Mef. La linea di fermezza attuata dal ministro Giancarlo Giorgetti ha funzionato, mettendo tutti quanti davanti alle proprie responsabilità. E dimostrando come la chiusura dell’accordo sarebbe stata l’unica soluzione auspicabile.

Come spiegano dal Mef, “sono stati inviati alla direzione generale della concorrenza della Commissione europea” tutti i documenti richiesti relativi agli accordi firmati necessari per “l’ingresso di Deutsche Lufthansa nel capitale Ita Airways”. La nota del Tesoro ha sottolineato come si attenda fiduciosi ora l’approvazione definitiva da Bruxelles per eseguire il closing dell’operazione.

Commissione europea ottimista

Probabilmente l’unica parte effettivamente ottimista, nell’attesa che documenti venissero inviati, è stata proprio la Commissione europea. La quale era convinta che le parti potessero trovare un punto di incontro. Tornando un attimo indietro dobbiamo sottolineare che secondo i tedeschi lo sconto sarebbe potuto essere, in base a indiscrezioni stampa susseguitesi, tra i 10 e i 90 milioni della seconda tranche da versare al Tesoro.

Un atto legato qlla presunta perdita di valore di alcuni asset di Ita Airways in attesa del closing. Dobbiamo sottolineare che con molta probabilità, a prescindere dalle intenzioni di poter risparmiare su qualcosa, sia i tedeschi sia gli italiani erano convinti di voler portare a casa l’accordo di acquisizione.

E a quanto pare lo stesso presidente di Ita Airways Antonino Turicchi avrebbe avuto un ruolo primario nel mediare, insieme al capo dipartimento economia del Mef Marcello Sala. Fattore molto apprezzato dal ceo di Lufthansa Carsten Sphor. La verità? A prescindere da tutto, l’importante è che l’accordo sia stato finalmente firmato.

Bitcoin vola grazie a Donald Trump

Il Bitcoin vola grazie alla rielezione di Donald Trump è questo non ci stupisce. Sia per ciò che è stato promesso in merito al mercato dedicato, sia per le naturali conseguenze di un simile voto.

Bitcoin in salita per diverse ragioni

Partiamo dalle promesse fatte dal futuro presidente degli Stati Uniti in merito al Bitcoin e al mercato delle criptovalute. A differenza di altri governi, quello di Donald Trump non reputa necessario sostenere un’economia green o combattere gli sprechi di energia. E questo ha molto a che fare con il mining delle criptovalute.

Si tratta infatti di un’attività che purtroppo spende moltissima energia e di conseguenza produce moltissime emissioni. In questi ultimi anni l’America ha cercato di contenere i danni, imponendo determinati regole. Se le promesse verranno mantenute però, i miner in generale non incontreranno più problematiche di sorta.

Il Bitcoin esce rafforzato perché Donald Trump ha spiegato come se eletto avrebbe portato la moneta digitale a non penare regole troppo restrittive e già questo, da solo, basterebbe a spiegare perché il mercato delle criptovalute e Bitcoin in testa stanno facendo registrare alti valori. Meno regole, più libertà e di conseguenza maggior valore.

La promessa di rendere gli Stati Uniti capitale mondiale del Bitcoin e delle criptovalute, parole di Trump, di sicuro sta spingendo la moneta. Il problema non è però questo. Dobbiamo infatti ricordare che il Bitcoin e le altre criptovalute sono considerate nonostante l’alta volatilità, dei beni di rifugio. E di conseguenza, quando a livello geopolitico la situazione si fa più difficile, questa moneta digitale tende a salire. Non ci stupirebbe vedere anche le altre seguire questa linea.

Situazione geopolitica importante

donald trump vuole taglio tassi di 100 punti

Soprattutto perché dal prossimo gennaio potremmo vedere gli Stati Uniti sostenere ancor di più apertamente alcune situazioni. Nello specifico Vladimir Putin. E questo potrebbe significare l’iniezione nelle casse dello Stato russe di liquidità in grado di sostenere i militari nell’attacco contro l’Ucraina.

Sono moltissime le ragioni per le quali quindi il Bitcoin sale. E purtroppo alcune di esse, se viste con occhio obiettivo, sono tutt’altro auspicabili. Di certo tutto quel che sta accadendo farà la gioia di coloro che possiedono questa moneta digitale. E viene da chiedersi, ancora una volta, se il guadagno valga la candela.

Anche perché alla fine a guadagnare ancora una volta sarà sempre. Dato che già a ottobre, senza troppo clamore, è stata lanciata la sua piattaforma dedicata alle valute digitali chiamata Word Liberty Financial che consente di non sfruttare più la banca come intermediario

 

Pensioni minime, aumento di 3 euro

L’aumento delle pensioni minime previsto dalla Manovra 2025 è pari a circa 3 euro. Di certo non è difficile chiedersi perché la notizia abbia creato tanto scalpore.

Come si è arrivati a questo intervento sulle pensioni

La coperta dei fondi nella Legge di Bilancio potrà essere anche corta. Ma preventivare un aumento di 10 centesimi al giorno non basta a far sostenere che si sia lavorato in modo sufficiente sulle pensioni. E se si fanno battute su un’impossibilità di scialacquare con questi aumenti in parte lo si fa per sdrammatizzare.

Chissà cosa si pensa che possa esser fatto con 3 euro in più sull’assegno. Dato che si parte da un assegno di 614,7 euro per arrivare a 617,9 euro. È bene tener da conto contestualmente che l’inflazione per i beni al largo consumo si trova all’1%. E a conti fatti quasi viene perso del potere d’acquisto.

Volendo scendere più nello specifico come ha fatto anche Il Fatto Quotidiano, il testo della manovra in tal senso è anche abbastanza complesso da comprendere. Dato che si rimanda a quello che era scritto nella Legge 197 del 2022, nella quale veniva indicato un aumento straordinario del 2,7% nel 2024 per rispondere agli aumenti portati dall‘inflazione.

Reazioni di sconforto e sarcasmo

Legge vuole che questo aumento per il 2025 sia fissato al 2,2% per poi scendere all’1,3% nel 2026. La cosa divertente, tecnicamente parlando, è che l’aumento nella manovra viene calcolato sulla base precedente all’aumento del 2022. Questo porta quindi le pensioni minime, per l’appunto, ad aumentare di 3 euro a mensilità. Tra l’altro, va sottolineato, che questo provvedimento della Manovra praticamente dimezza l’aumento da 6 euro esistente portando quindi nelle Casse dello Stato un risparmio di 5,4 milioni di euro al mese.

Sono stati quindi in molti a chiedersi perché si sia agito in tal senso rispetto alle pensioni minime. Per quanto non si voglia entrare nel merito politico della questione, va detto che il tweet pubblicato da Giuseppe Conte, leader 5 stelle, rischia di riassumere quello che pensa chiunque legga questa notizia. Questo perché l’ex premier, dopo aver sottolineato l’esiguità dell’aumento di 10 centesimi al giorno sulle pensioni minime, ricorda quando venivano, proprio dai vertici dell’esecutivo, promesse pensioni minime a 1.000 euro al mese.

In un momento in cui le persone, pensionati o meno, talvolta sono costretti anche a non curarsi proprio per la mancanza di fondi. La maggior parte delle reazioni a questo provvedimento in Manovra è quello di voler evitare di commentare se non con del sarcasmo. E non si può di certo dar torto in tal senso. Sarà però possibile, nelle prossime settimane, aspettarsi manifestazioni e scioperi.