Il mercato australiano, la nuova frontiera per gli Etf

Non è difficile immaginare i motivi che hanno condotto l’Australia ai vertici dell’economia mondiale, almeno in fatto di crescita: la vasta nazione oceaniana, infatti, può vantare una popolazione pari a ventidue milioni di abitanti, ma soprattutto un prodotto interno lordo pari all’1,2% di quello globale, una cifra davvero impressionante. Le materie prime dominano letteralmente il mercato dei titoli azionari, ragione per la quale gli investitori non possono contare su un portafoglio sufficientemente diversificato, anche perché i soli indici del Pacifico la fanno da padrona, ma comunque occorre tenere a mente dei concetti fondamentali. Anzitutto, chi vuole investire sull’Australia deve ricordare che i cambi valutari rappresentano un rischio molto alto, visto che l’utilizzo del dollaro australiano viene spesso caratterizzato da eccessiva volatilità.


Dunque, non bisogna farsi allettare troppo dai rendimenti che salgono alle stelle, altrimenti si rischia di perdere tutto il capitale che è stato investito. Lo sfruttamento delle performance delle materie prime, invece, può passare per la strada della focalizzazione sugli Exchange Traded Fund e dei fondi comuni, prodotti finanziari che in questa parte del mondo sono letteralmente in rampa di lancio: presso l’Etf Plus di Piazza Affari sono acquistabili tre distinti Etf, uno targato Deutsche Bank e che osserva da vicino l’indice Asx 200 e due di Lyxor, i quali contemplano anche l’Msci Australia.

I fondi in questione non hanno un funzionamento e una struttura molto dinamica, si limitano esclusivamente a replicare l’andamento dell’indice sottostante e questo fattore ha rappresentano un enorme freno, con gli investitori più interessati ad altre alternative; però, il rialzo dello strumento di Deutsche Bank (+18,84%) non lascia così indifferenti e nemmeno quello di fondi prettamente australiani, quali il Fidelity Australian Fund, l’Aberdeen Global Australian Equity, il Parvest Australia e il Dexia Equities Australia, visto che la performance peggiore nel 2010 è stato un aumento di dodici punti percentuali, mentre nell’ultimo triennio si arriva anche a un +20%.

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