Fed non alza i tassi, ma Wall Street scende

La Fed non aumenta ulteriormente i tassi di interesse ma Wall Street, nel corso del discorso del presidente Jerome Powell, tende al ribasso. Scopriamo insieme il perché.

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La decisione della Fed

Il Federal open market Committee (Fomc) della Fed ha deciso per uno stop al rialzo dei tassi nell’ultima riunione. Questo significa che i governatori responsabili della politica monetaria del paese hanno optato per non spostare questi dall’intervallo contenuto tra il 5,25% e il 5,50%. Parliamo del valore più alto dal 2001.

Anche questa decisione, come tutte le altre, è stata presa in base ai dati relativi all’economia statunitense ottenuti fino a questo momento. Si è trattato di una decisione unanime presa da tutti e 12 membri. Questa nello specifico è la seconda volta, dal marzo 2022, che la Fed decide di fermare l’aumento dei tassi. Nelle altre 11 riunioni, proprio per combattere l’inflazione, la decisione ha sempre puntato sul rialzo del costo del denaro.

Non dobbiamo dimenticare che i tassi di interesse erano stati abbassati nel 2020 per combattere le conseguenze della pandemia di coronavirus. Al momento il vero nemico è l’inflazione e per tale ragione c’è bisogno di seguire una politica monetaria restrittiva.

È necessario comprendere che globalmente, con molta probabilità, i tassi cresceranno ancora entro la fine dell’anno. Tutte le banche centrali si stanno regolando in base ai dati che arrivano mese per mese. Qui è possibile introdurre perché il Wall Street abbia teso a ribasso dopo una particolare affermazione di Jerome Powell.

La reazione di Wall Street

FED ed elezioni Olanda spingono economia

Questo tipo di reazione è arrivata quando il presidente della Fed ha sottolineato che con molta probabilità i tassi verranno abbassati solamente intorno alla fine del 2024. La borsa ha, con molta probabilità, interpretato in maniera sbagliata le prime parole del responsabile dell’istituto.

E di conseguenza ha reagito poi in maniera differente. Sul breve termine, nel corso della conferenza stampa, l’economista ha spiegato che prima di decidere per i prossimi mesi, ovviamente, la commissione ha necessità di vedere cosa proporranno i dati. È possibile, più in generale, a novembre o dicembre aspettarsi un nuovo rialzo dei tassi.

La Fed deciderà in base a quello che i dati proporranno a livello economico. La situazione europea al momento è completamente diversa. Per ora infatti la BCE, pur basando le sue decisioni sullo stesso sistema, non ha al momento spazio di manovra adeguato per ipotizzare con certezza una pausa nei rialzi.

Non resta per tutti che aspettare i dati economici in arrivo nelle prossime settimane. Solo loro potranno fare maggiore chiarezza.

Ryanair insiste: Governo ritiri decreto sul caro voli

Ryanair non ha nessuna intenzione di fare passi indietro per quel che concerne il decreto sul caro voli. E continua a insistere su una dismissione dello stesso da parte del Governo.

Ryanair ferma sulle sue posizioni

Il quale, a prescindere da quel che si possa pensare sul decreto stesso, ha il diritto di rispondere che come paese sovrano non deve sottostare di certo alle indicazioni di una compagnia aerea. È questo il succo dell’incontro svoltosi tra i rappresentanti di Ryanair e il ministro del made in Italy Aldofo Urso.

Una situazione che al momento non vede né vinti né vincitori. Senza contare il fatto che entrambe le parti ancora non stiano prendendo in considerazione il ruolo dell’Unione Europea in tutto ciò. Quando Ryanair sottolinea che il decreto sul caro voli non sia in linea con la legge europea non ha torto. Ma allo stesso tempo la stessa Commissione non ha ancora giudicato inammissibile a livello comunitario il decreto italiano.

In pratica, da qualsiasi punto di vista venga letta la situazione, non vi è da nessuna parte la capacità di asserire la propria verità come assoluta. Ma Ryanair ha al contempo un asso nella manica: può limitare le tratte. È suo diritto farlo. E lo Stato italiano si ritrova quindi a dover trovare una soluzione per il malcontento popolare senza perderci la faccia. O la sua posizione.

Tira e molla sarcastico inutile tra le parti

Il Ministro Urso ieri ha affermato che l’Italia è un Paese sovrano“, ha sottolineato Michael O’Leary, ceo di Ryanair. “Tuttavia, la prova della sovranità di un Paese è il rispetto degli accordi internazionali“. E questa, per quanto si voglia combatterla, rimane comunque una verità ineluttabile.

Meno accettabile è la posizione di “dispetto” che la compagnia sta prendendo. “Il Ministro Urso deve ora ritirare il decreto illegale sul controllo dei prezzi e confermare che l’Italia continuerà a rispettare il diritto dell’UE“, ha infatti aggiunto il ceo del vettore irlandese. Diritto “che garantisce a tutte le compagnie aeree, sia italiane che straniere, la libertà di fissare i prezzi, senza interferenze politiche“.

Un problema che per l’Italia si fa palese per la Sicilia e la Sardegna dato che Ryanair ha già fatto sapere che limiterà i voli a disposizione. Qualcosa che porterà il mercato ad alzare i prezzi piuttosto che diminuirli. Ricordiamo che la legge citata da O’Leary è il Regolamento UE 1008/2008 sui servizi aerei che parla di prezzi fissati “liberamente” dalle compagnie per “i servizi intercomunitari”.

C’è da chiedersi: si farà davvero qualcosa per i viaggiatori o continuerà questo tira e molla sarcastico e poco utile tra le parti?

Germania? Più forte di quel che si pensa

La Germania è più forte di quel che si pensa. Sebbene la situazione economica non sia tranquilla come in passato. È questo il succo delle parole del presidente di Bundesbank Joachim Nagel.

La Germania non è ancora in grave difficoltà

L’economista sostiene anche con una certa fermezza che la BCE di sicuro non abbasserà i tassi di interesse sul breve periodo. Prendendo in considerazione la Germania impossibile non notare come a prescindere dalle diverse opinioni stia presentando un calo del PIL, un decremento della fiducia nell’economia e problemi nel mercato immobiliare.

Tutto ciò pesa di più idealmente perché la Germania è sempre stato uno degli Stati più forti a livello economico all’interno della Unione Europea. Quello in grado di trainare gli altri. Ciò che possiamo vedere ora è che il primo Stato tra i più grandi e forti a entrare in recessione.

La colpa viene data alla sua economia di tipo energivoro e sappiamo tutti ciò che il mercato negli ultimi tempi ha messo a disposizione degli Stati membri. Ci sarebbe di fondo una crisi strutturale rilevante che l’economia teutonica potrebbe trovarsi a scontare. Parlando con i media tedeschi il presidente di Bundesbank evidenzia come la situazione attuale non sia comparabile a quella di 20 anni fa.

È vero che siamo scivolati in una recessione tecnica durante la stagione invernale”, sottolinea. “E da allora lo sviluppo economico non è stato soddisfacente. La pandemia di Covid, l’alta inflazione e quindi l’attacco russo all’Ucraina hanno lasciato il loro segno. Ma”, spiega, “prevediamo che l’immagine si rischiarerà l’anno prossimo”.

I tassi e le decisioni della BCE

È presto per etichettare questa posizione come eccessivamente fiduciosa. Ma il presidente di Bundesbank è ottimista e rigetta anche le critiche sul modello tedesco considerato troppo basato sull’industria tradizionale. Fattore che lo rende troppo lento, poco innovativo e obsoleto.

L’economista non nasconde che un aggiornamento non farebbe male ma lo stesso tempo non mancano nel suo discorso piccole stilettate ad altri paesi. Quelli che, sebbene non nominati, come l’Italia presentano maggiori criticità. Soprattutto per quel che concerne l’occupazione e la sostenibilità del debito.

Sulla lotta all’inflazione Joachim Nagel è convinto che la BCE non tornerà troppo presto sui suoi passi. I dati che continuano ad arrivare sottolineano la necessità di una politica monetaria restrittiva. È vero che gli interventi impiegati finora devono ancora far vedere il proprio potenziale complessivo.

Ma è impossibile negare, dati alla mano, che l’inflazione sembra rimanere ostinatamente alta. Ragione per la quale la politica di decidere riunione dopo riunione, in base ai dati, rimane la migliore applicabile.

Obbligazioni? Tornano a conquistare

Le obbligazioni sembrano tornare a essere attraenti più o meno in tutto il mondo. Tanto negli Stati Uniti quanto nella vecchia Europa, dove i tassi obbligazionari stanno raggiungendo dei livelli che non si vedevano da molto tempo.

Cosa accade con le obbligazioni

Ciò che incuriosisce è che questo sta accadendo nel momento in cui, sia oltreoceano che nell’euro zona, i tassi di interesse potrebbero avvicinarsi a uno stop dei rialzi. E per quel che concerne le obbligazioni è innegabile che la domanda e l’offerta siano legati all’impennata che si è palesata all’interno del mercato obbligazionario proprio per ciò che riguarda i tassi.

Dobbiamo sottolineare che per ciò che riguarda l’offerta, nonostante la necessità di una maggiore disciplina fiscale, le emissioni di debito sono decisamente abbondanti. La ragione sta nel fatto che sono diverse l’economie del G7 che presentano ancora dei deficit di bilancio molto ampi. Per loro la possibilità di emettere obbligazioni rappresenta uno strumento per tenere sotto controllo i conti.

Le agenzie di rating non sono molto propense ad accettare questo approccio. Basti pensare a Fitch e al fatto che per tale ragione ha tolto la tripla A agli Stati Uniti. In questo campo una cosa è certa: il debito deve essere comunque finanziato. Le banche centrali stanno continuando nel loro percorso  di stretta finanziaria e proprio per via di questo inasprimento quantitativo stanno pian piano eliminando i grandi stock di debito che detengono.

Ricerca di investitori per le emissioni

Il fatto che le obbligazioni stiano attirando l’attenzione in questo periodo consente di sostituire agli investitori di tipo istituzionale come gli istituti centrali nuovi acquirenti. Qualcosa di non semplice anche a causa dell’alta inflazione e alla minore liquidità disponibile. Inutile dire che in tal senso anche la geopolitica alla sua influenza.

Questa lunga premessa serve per spiegare perché il ministero del Tesoro americano non abbia altra scelta che aumentare i rendimenti per trovare degli acquirenti per le sue emissioni. È lo stesso saranno costrette a fare anche le economie europee. Al momento attira tanto l’attenzione anche il tasso obbligazionario tedesco pari al 2,7%. Molto simile per intenzionalità al 4,3% decennale americano.

Perché gli investitori trovano nuovo interesse nelle obbligazioni? Perché queste non sono regolate solo dalla domanda e dall’offerta ma anche dagli altri dati. E per via nell’attuale inflazione i tassi ufficiali potrebbero rimanere alti ancora un bel po’.

Più in generale poi le obbligazioni sembrano essere la giusta alternativa alle azioni, il cui dividendo non assicura più un guadagno certo.

Criptovalute, come mettersi in regola con AdE

L’Agenzia delle Entrate batte cassa sulle criptovalute. O meglio sulla regolarizzazione delle cripto attività. Scopriamo insieme cosa è stato stabilito e cosa bisogna fare.

Come gestire fiscalmente le criptovalute

Con il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini, del 7 agosto 2023, è stato deciso che entro il 30 novembre di quest’anno è possibile presentare istanza per regolarizzare le cripto attività detenute al 31 dicembre 2021.

Il mondo delle criptovalute è ancora impegnato nel tentativo di trovare una quadra su una propria regolamentazione che sia valida per tutti. Nel frattempo i singoli Stati stanno cercando di dar vita a normative che possano far trattare questi prodotti finanziari al pari di quelli già regolamentati. Le cripto attività sono sempre state in una sorta di limbo a livello fiscale. Fino alla legge di bilancio n. 197 del 2022, quando si è provveduto a determinare il trattamento fiscale. Dando vita anche a una sanatoria per quelle attività legate alle criptovalute non dichiarate e pregresse.

Con il decreto dell’Agenzia di questo costo si sta semplicemente mettendo in atto ciò che è necessario per riscuotere la tassazione relativa. Alla regolarizzazione delle cripto attività rappresentate dalle criptovalute possono accedere le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate. Tra queste criptovalute vi sono comprese anche quelle oggetto o derivanti da attività di staking.

Chiunque voglia accedere alla regolarizzazione deve essere residente in Italia. Parliamo di cripto attività detenute al 31 dicembre 2021 e non dichiarate all’interno del modello dichiarativo nel quadro RW.

Come regolarizzare la posizione

Per regolarizzare la posizione le operazioni devono riguardare periodi di imposta per i quali non siano scaduti i termini per l’accertamento. O per la contestazione della violazione degli obblighi di dichiarazione. In pratica è possibile assolvere allo scopo versando un’imposta sostitutiva del 3,5% del valore delle criptovalute detenute al termine del periodo d’imposta o del periodo di detenzione a cui si riferiscono i redditi omessi.

È prevista anche una sanzione pari allo 0,5% del valore delle criptovalute in base al DL n. 167 del 1990, che devono essere pagate con il modello F24. Una volta che si è pagato tutto quanto è possibile presentare istanza per la regolarizzazione, sfruttando il modello dedicato che deve essere firmato digitalmente o essere accompagnato da una copia del documento di riconoscimento.

Non deve mancare la relazione di accompagnamento con la documentazione probatoria e la ricevuta del modello F24. L’istanza deve essere inviata tramite Pec alla direzione regionale territoriale competente dell’Agenzia delle Entrate. Questa può essere inviata anche da un professionista che faccia le veci del contribuente. Importante: i codici tributo da utilizzare per effettuare i versamenti saranno indicati a breve dall’agenzia delle entrate.

Fitch, Stati Uniti perdono la tripla A

Fitch toglie la tripla A agli Stati Uniti scatenando l’ira dell’ex presidente della Fed e attuale ministro del Tesoro Janet Yellen. Un taglio che porta il rating statunitense a AA+ con outlook stabile.

fitch abbassa rating italia

Fitch abbassa il rating a sorpresa

Si tratta della prima agenzia che negli anni osa tagliare in tal senso la valutazione degli Stati Uniti. In precedenza fu Standard and Poor’s nel 2011 a fare lo stesso. Si tratta di una mossa che ha sorpreso tutti per il suo arrivo inaspettato. In questo modo, la più grande economia mondiale ha perso la valutazione massima presentata dalle agenzie.

Una valutazione quella di Fitch che si basa sul peggioramento delle condizioni di bilancio previste per i prossimi tre anni, sulle soluzioni dell’ultimo minuto presentate e le ripetute negoziazioni sul tetto del debito. Azioni che potrebbero portare il Governo attuale statunitense a non riuscire a portare a termine i suoi impegni di spesa.

Come già anticipato la segretaria al tesoro Janet Yellen non ha preso bene la valutazione di Fitch. L’economista ha avuto una reazione furiosa, sottolineando come la decisione presa dall’agenzia di rating sia obsoleta e arbitraria perché basata su informazioni ormai datate.

Ragione per la quale anche la Casa Bianca ha sottolineato di essere profondamente in disaccordo con la decisione presa da Fitch. Questo perché la stessa sembra essere disancorata dalla realtà. Visto che arriva in un momento in cui è evidente che la ripresa garantita dal presidente Joe Biden e dal suo Governo sia comunque la più robusta tra quelle delle più grandi economie.

Economia americana solida comunque

Il rating pesa, ma Janet Yellen sottolinea che la valutazione di Fitch non avrà comunque influenza sul fatto che i titoli del Tesoro statunitensi rimangano un asset sicuro sul quale investire. E che l’economia americana sia molto forte. Secondo l’amministrazione Biden si tratta di una valutazione poco coerente con gli stessi commenti presentati da Fitch, la quale nella sua analisi ha sottolineato come la governance degli Stati Uniti sia migliorata durante la Presidenza Biden.

Non ha senso, aggiungono,  che venga tagliato ora il rating per le azioni sconsiderate prese dalla precedente amministrazione. Deve essere sottolineato che già a maggio Fitch aveva segnalato la probabilità di un downgrade, aspettando l’arrivo di giugno per comprendere come si sarebbe evoluta la crisi del tetto del debito. Al momento Moody’s è l’unica agenzia di rating tra le più grandi che valuta con tripla A Gli Stati Uniti.

Fitch parla anche di una possibile recessione per gli Stati Uniti tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo. Chi avrà ragione tra l’agenzia e l’amministrazione?

Biglietti aerei, ministero pronto a intervenire?

Il prezzo dei biglietti aerei quest’estate rischia di rappresentare una vera e propria criticità sia per i consumatori che per il settore. Il ministro Adolfo Urso spiega di essere pronto a intervenire nel caso la situazione non dovesse cambiare.

Il problema dei biglietti aerei

Aspettiamo spiegazioni su questa crescita anomala dei prezzi”, spiega il responsabile del ministero. “Ma, se le spiegazioni non sono convincenti e se i prezzi non si riducono a breve, interverremo, come è giusto che sia”.

Una posizione che non può che essere condivisibile se si pensa ai biglietti aerei e a come i prezzi stiano aumentando sempre di più. Nessuno vuole negare la crisi che si è abbattuta sul settore negli scorsi anni, nel pieno della pandemia di coronavirus. Ma allo stesso tempo non si può negare che in alcuni casi potrebbe essere coinvolto anche un certo grado di speculazione.

Inutile girarci intorno: i prezzi dei biglietti aerei sono cresciuti vertiginosamente, a tal punto di portare le persone a rivedere la propria organizzazione per le vacanze. Il fatto che il ministro per le Imprese e il Made in Italy stia monitorando la situazione dovrebbe far ben sperare per il raggiungimento di una eventuale soluzione.

Lo stesso responsabile del ministero ha infatti sottolineato che le compagnie al momento hanno i voli pieni, viaggiano al massimo dei ricavi e possono contare su un carburante che costa 30% in meno. Con quale motivazione aumentano i prezzi del 40-42% sulle basi di questi dati?

Parlando con i microfoni di Sky Tg 24 Economia, ha aggiunto che il ministero spetterà spiegazioni su questa crescita, riservandosi di intervenire in caso tali motivazioni non risultino convincenti. Già nei giorni scorsi il ministro Adolfo Urso aveva richiesto l’intervento del Garante per la sorveglianza dei prezzi al fine di monitorare la situazione. La commissione, una volta ascoltate le risposte dei vettori, aggiornerà il tavolo del confronto il prossimo 20 luglio.

Prezzi più che raddoppiati

 

Assoutenti dipinge una situazione molto chiara: nell’ultimo anno i prezzi dei biglietti sono raddoppiati. E questo nonostante il costo del carburante sia rientrato. Collegamenti nazionali arrivano a costare al pari di quelli che portano oltreoceano. Sotto accusa in particolare le tratte da Milano e Roma verso Cagliari, Palermo, Olbia e Catania.

Insomma, soprattutto per chi è costretto a spostarsi per lavoro dalla propria regione i prezzi dei biglietti aerei sono diventati ormai impossibili da sostenere. Un intervento da parte del Governo è più che auspicabile, soprattutto perché proprio in virtù del calo del prezzo del carburante tali aumenti non sono giustificati.

Non è possibile scaricare ancora una volta sul consumatore eventuali problematiche affrontate in passato.

Bonifici istantanei, basta costi aggiuntivi

Per quel che riguarda i bonifici istantanei anche nel Parlamento europeo il momento di occuparsi della loro gestione. Cosa significa questo? Lo spieghiamo subito.

Cosa può cambiare per i bonifici istantanei

Sebbene non si sia ancora arrivati a un voto definitivo sulla questione, la Commissione per gli affari economici e monetari del Parlamento europeo ha dato il primo via libera necessario. Per cosa? Per far si che i bonifici istantanei siano messi a disposizione da tutti i fornitori di servizi di pagamento e senza costi aggiuntivi.

I bonifici istantanei dovranno essere inoltre messi a disposizione anche verso quei paesi dell’Unione europea che ancora non hanno adottato l’euro. Va sottolineato ancora: il voto sopra descritto non è definitivo. Dato che la proposta, giunta dalla Commissione europea, deve essere approvata anche dal Consiglio europeo. Ricordiamo che questo organo dell’Unione Europea è quello che riunisce tutti i capi di Stato degli Stati membri.

Ulteriore sottolineatura da fare: per bonifici istantanei si intendono quei pagamenti che vengono elaborati nell’immediato e che arrivano a destinazione entro 10 secondi dall’ordine di pagamento.

Per quale motivo si vogliono eliminare le commissioni legate a questo strumento finanziario? Per evitare quelle barriere che fino a ora stanno rallentando l’utilizzo di questo mezzo. Nonostante un suo essere regolamentato in tal senso sarebbe in grado di accontentare in modo importante cittadini e imprese a livello economico.

Un sistema spinto al cambiamento

Non è una novità: quasi tutte le banche che offrono bonifici istantanei richiedono una commissione ulteriore per la loro esecuzione rispetto a quelli ordinari, che ci mettono 24 ore per essere registrati. La proposta europea vuole eliminare il costo ulteriore dei bonifici istantanei per coloro che vorranno usufruirne.

Avendo cura però di non spalmare il costo del bonifico istantaneo su altre operazioni. Come? Attraverso l’obbligo per i fornitori di servizi di pagamento di non aumentare indirettamente o direttamente le tariffe legate alle transazioni regolari.

Una soluzione che con molta probabilità scontenta gli istituti di credito e le banche. Che potrebbero però guadagnare da questo tipo dell’operazione con la fidelizzazione del cliente e ciò che ne consegue.

I pagamenti istantanei sono un’innovazione molto necessaria“, ha spiegato Michiel Hoogeveen, uno dei promotori. “Perché il mio ordine da Amazon mi arriva più velocemente rispetto a un pagamento da un amico in un altro paese dell’Eurozona che raggiunge il mio conto bancario?” ha provocato. “Il Regolamento sui Pagamenti Istantanei fornirà ai consumatori e alle imprese la garanzia necessaria per i pagamenti“.

Se l’iter dovesse trovare accoglimento ed essere ratificato si tratterebbe di un’interessante novità capace di rappresentare un punto di svolta per molti.

Inflazione, attenzione alle speculazioni

Nonostante l’inflazione sia scesa questo mese al 5,5% dal 6,1% di maggio i rialzi dei tassi della Bce non si fermeranno e il prossimo verrà annunciato nel corso della riunione del 27 luglio. Bisogna però farsi due domande su potenziali speculazioni.

Inflazione ancora troppo alta

Sono infatti comportamenti da sottolineare e combattere, soprattutto se messi in campo da aziende che nel loro “recuperare” il tempo perduto, rendono impossibile alle persone esercitare la loro capacità di spesa.

Nell’intera Eurozona l’obiettivo di inflazione del 2% è ancora lontano ed è normale che la Bce eserciti una politica monetaria restrittiva per abbassarla. Allo stesso tempo però questi continui rialzi non lavorano come dovrebbero e mettono in crisi i consumatori.

Buona parte delle difficoltà nei mesi scorsi è stata legata alla crescita del prezzo dei carburanti e al caro energetico. E se in quel momento il rialzo dei prezzi seppure in modo sofferente è stato accettato, ora non si può non parlare di speculazioni.

A fine mese per combattere l’inflazione verranno alzati di nuovo i tassi. E gli italiani soffriranno più di altri tale mossa. Questo perché il valore italiano dell’inflazione è mediamente più alto di quello del resto di Europa. Trainato ancora dall’energia, dai servizi finanziari e dal trasporto aereo. Unito a debolezze strutturali che lasciano il segno.

Attenzione alle speculazioni

A un quadro già di per sé difficile si aggiungono le speculazioni provenienti dalle aziende. Non vi è altro modo per definire dei rialzi dei prezzi non giustificati dalle condizioni economiche. Ora che il prezzo del carburante è sceso perché i prezzi non stanno calando?

La domanda ha una semplice risposta: alcuni produttori, in questo modo, guadagnano di più riuscendo a recuperare le perdite passate. Ma si tratta di un cane che si morde la coda, visto che arriverà un momento nel quale la popolazione non potrà più permettersi tali beni e servizi. Proprio per questo motivo.

Come spiega la Bce, in pratica, le imprese invece che assorbire parte degli aumenti intaccando i loro margini, hanno aumentato i profitti continuando ad alzare i prezzi. Qualcosa che non hanno smesso di fare. E questo con i salari fermi e nel caso italiano mai adeguati da circa venti anni, ha portato a una situazione di crisi per i consumatori.

Aggravata già dai rialzi e potenzialmente peggiorata nel futuro prossimo dagli altri aumenti dei tassi contro l’inflazione. Portando gli italiani a non avere più capacità di spesa. Sarebbe auspicabile un intervento governativo contro queste speculazioni, oramai divenute insopportabili.

Credit Suisse, molti posti di lavoro a rischio

Credit Suisse sarà costretto a tagliare almeno la metà dei suoi dipendenti. E questo quello che accadrà nelle prossime settimane secondo l’agenzia Bloomberg.

A rischio i dipendenti di Credit Suisse

UBS si è fatto avanti per salvare la situazione, ma questo comporterà da parte sua una scrematura dell’istituto da lei acquistato. Secondo gli statunitensi i licenziamenti avverranno in tre diversi scaglioni. Il primo avverrà a fine luglio, mentre gli altri due avranno luogo in autunno. Al momento UBS non smentisce né conferma questo fatto.

Acquisendo Credit Suisse l’istituto è arrivato da avere circa 120.000 dipendenti. Una situazione attualmente non gestibile e che prevede, secondo le indiscrezioni, un taglio del 30% pari almeno a 35.000 posti di lavoro. Da quel che si evince i tagli di personale maggiore per Credit Suisse dovrebbero riguardare il settore trading a New York, a Londra e in altre città orientali.

La scelta di agire con i licenziamenti su questa branca della banca proviene dal fatto che il settore stesso si trova in acque non calme. Più in generale deve essere notato che la maggior parte dei colossi bancari mondiali, cresciuti molto dopo durante la pandemia, sono stati costretti a ridurre il personale per affrontare la crisi.

Quel che è accaduto a queste realtà è nulla se paragonato all’impatto che avranno i tagli necessari per riportare normalità nella situazione di Credit Suisse. Non dobbiamo dimenticare che parliamo di una realtà che fino alla crisi di qualche mese fa era considerata praticamente indistruttibile perché è capace di autogestirsi in modo adeguato.

Non sono mancate reazioni

I tagli che verranno effettuati da UBS hanno scatenato la reazione dell’Associazione svizzera degli impiegati di banca (ASIB). La quale contesta la comunicazione a senso unico dell’istituto in merito al completamento della fusione con Credit Suisse. Una comunicazione dove non si parla del futuro piano sociale ma continuano a girare indiscrezioni su quanto alti saranno i tagli.

Un approccio che porta alla crescita della frustrazione dell’incertezza tra i dipendenti. I quali non sanno cosa succederà nel loro prossimo futuro. Dobbiamo ricordare che Bloomberg ha reso noto che secondo fonti anonime interne a Credit Suisse, sarebbero previsti più del 50% di licenziamenti. Fattore al quale Reuters aggiunge che nella sola Zurigo sarebbero 7000 i posti di lavoro incerti.

A prescindere o meno dalla conferma delle indiscrezioni, al momento è palese che è la situazione per i dipendenti di Credit Suisse sia tutt’altro che rosea. E che al momento mancano quelle certezze, anche in negativo, dalle quali si potrebbe partire per mitigare l’impatto.

Inflazione, problemi anche in Inghilterra

Anche l’Inghilterra sta combattendo con un’inflazione davvero fastidiosa. E la banca centrale del Regno unito, come la BCE sta tentando una politica monetaria restrittiva per risolvere la situazione.

Inflazione picchia duro anche oltremanica

Il problema, come accade in questi casi, è che tale approccio pur essendo l’unico sfruttabile in questa situazione, sta mettendo a dura prova la pazienza dei consumatori. Dati alla mano va detto che l’Inghilterra e gli altri Stati della Gran Bretagna stanno combattendo con una inflazione che al suo tasso core rimane al 7,1% nel tasso annuale di maggio. Più alto rispetto a quello del mese precedente e a quello stimato. Ciò significa per la Banca of England dover reagire in modo molto simile a quello della BCE: ovvero alzare i prezzi.

Raggiungendo un tasso principale del 5%. Per l’istituto centrale britannico si tratta del tredicesimo aumento di tasso consecutivo. Qualcosa che non dovrebbe stupirci più di tanto se si pensa alla necessità di dover gestire anche le conseguenze sul lungo termine della Brexit.

Va detto che le criticità e i dati relativi all’economia inglese sono differenti da quelli legati all’Europa o agli Stati Uniti. Per tutti quanti pesa ovviamente la crescita dei prezzi al consumo. Le cause alla base sono praticamente le stesse per tutti. Differente è il modo in cui si reagisce proprio grazie alla diversa impostazione.

Cosa succede alla popolazione

Negli Stati Uniti l’inflazione è scesa di più rispetto ad altri e ciò ha portato a un momentaneo stop del rialzo dei tassi, già arrivati intorno al 5%. In Europa, in tal senso, c’è ancora spazio di manovra. Ragione per la quale è difficile ipotizzare uno stop a rialzi in questo momento.

Per quanto riguarda la Banca d’Inghilterra si sa che sono già in programma altri due rialzi dei tassi di interesse. Il fatto che i salari siano cresciuti di circa il 7% tra febbraio e aprile fa ritenere probabile che vi siano forti effetti di una spirale salari-prezzi.

Ciò che bisogna comprendere è se nel suo seguire una politica monetaria restrittiva contro l’inflazione la Banca d’Inghilterra deciderà per un aumento soft o per un aumento aggressivo. In ogni caso, per la popolazione inglese sta diventando difficile gestire il rialzo del costo del denaro. Questi infatti soprattutto per quel che concerne i mutui, la restituzione del credito e le spese vive rischiano di peggiorare notevolmente le condizioni di vita di molte persone.

E in un paese come l’Inghilterra che, lo ripetiamo, sta ancora scontando gli effetti a lungo termine della Brexit, questo stato di cose è tutt’altro che auspicabile.

Bce, allarme per stabilità banche

La Bce lancia un allarme in merito alla stabilità delle banche europee. Un problema che la banca centrale europea non ha intenzione di sottovalutare, soprattutto in questo particolare periodo storico ed economico.

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Cosa preoccupa la Bce

La ragione di questa preoccupazione sarebbe da legare ai rapporti tra le banche tradizionali e le banche ombra. Sotto questo nome vengono riconosciuti hedge fund, fondi pensione e gestori patrimoniali che dalla crisi del 2008 hanno aumentato la loro presenza all’interna del mercato.

Qualcosa che ormai è dato per scontato ma che in caso di crisi finanziaria potrebbe portare a importanti conseguenze. La Bce sta osservando con attenzione ciò che sta accadendo nel settore bancario e ovviamente ha deciso di muoversi per tempo.

Non dobbiamo dimenticare ciò che è successo in Svizzera con Credit Suisse o negli Stati Uniti partendo dal crollo di Silicon Valley Bank. Alcune azioni intraprese, unite al quadro generale, possono dar vita a delle conseguenze imprevedibili e di difficile gestione.

La Bce lancia l’allarme ma al contempo ne è parte. Questo perché con il rialzo dei tassi di interesse per combattere l’inflazione, la situazione delle banche si è andata complicando, soprattutto per quel che concerne i prestiti.

I dati non sono confortanti

Una preoccupazione quella della banca centrale espressa nel rapporto dedicato pubblicato il 30 maggio scorso. Il quale racconta come i rapporti tra le banche tradizionali e quelle ombra mettano a repentaglio la stabilità economica. I dati ci spiegano che l’80% dei prestiti provenienti da banche ombra o intermediari finanziari di tipo non bancario è concentrato in tredici tra le maggiori banche europee.

Una potenziale crisi all’interno del mercato degli intermediari finanziari non bancari potrebbe avere effetti anche sul settore bancario tradizionale. Proprio perché questi potrebbero decidere dvi ritirare i loro depositi, mettendo in difficoltà gli istituti con la liquidità.

La Bce, insieme al rapporto sulla stabilità finanziaria, ha pubblicato anche i dati relativi i prestiti in Europa. Il racconta come il settore sia sotto pressione per via soprattutto dell’aumento dei tassi di interesse. Va ripetuto, è necessario per combattere l’inflazione ma al contempo è causa di diversi rischi in questo ambito.

Purtroppo ci troviamo davanti a una sorta di circolo vizioso dove la Bce fa benissimo a lanciare l’allarme sui rapporti tra le banche tradizionali è quelle ombra in merito alla stabilità. Ma allo stesso tempo dovrebbe verificare la possibilità di agire per limitare i danni dati dall’aumento dei tassi di interesse.

Soprattutto perché si tratta di una politica monetaria già alla quale l’Eurozona non può ancora rinunciare nel tentativo di far calare i prezzi al consumo.

Decreto maltempo approvato, ecco le misure

Decreto maltempo per l’Emilia Romagna è stato approvato, con uno stanziamento di oltre due miliardi di euro. Misure di emergenza da applicare per coloro che hanno subito danni in Emilia Romagna e nelle Marche per via della recente alluvione.

Decreto maltempo contiene misure immediate

Come spiegato dalla presidente del consiglio Giorgia Meloni si tratta di un decreto legge con i primi interventi di tipo urgente, deciso insieme alle parti sociali della regione al presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini. I due hanno sottolineato che il governo regionale quello centrale lavoreranno insieme.

Non bisogna dimenticare che sono migliaia le persone che hanno dovuto lasciare le proprie case. E che le hanno viste devastate dall’acqua, come ha sottolineato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. È necessaria una risposta veloce alla sofferenza, sia a quella personale che a quella lavorativa. Il Decreto maltempo è stato preparato proprio in virtù di questa necessità.

Quali sono le misure presenti nel Decreto maltempo? Prima di tutto si è pensato agli ammortizzatori sociali: è infatti prevista la cassa integrazione in deroga per tutti i dipendenti fino a 90 giorni. I dipendenti pubblici delle zone colpite nel caso non possano recarsi a lavorare saranno comunque pagati. È prevista anche dal Decreto maltempo un una tantum fino a 3.000 euro per i lavoratori autonomi e sono costretti a interrompere la propria attività.

Cosa succede in ambito fiscale e altri settori

Per quel che riguarda il fisco sono stati sospesi i termini relativi ai versamenti tributari e contributivi fino al 31 agosto con ripresa dei pagamenti al 20 novembre. Mentre per quel che concerne le utenze Arera ha deliberato una sospensione. Per quel che riguarda le piccole e medie imprese è stato rafforzato l’accesso al fondo di garanzia con una previsione di aumento di questa fino al 100%.

In aiuto delle imprese esportatrici è stato pensato un contributo a fondo perduto a valere sul fondo Simest. E la creazione di una quota riservata di 400 milioni di euro per tassi agevolati a fondo perduto messi a disposizione dal ministero degli Esteri.

Per quel che concerne la scuola il ministro dell’Istruzione potrà con un’ordinanza gestire in maniera flessibile l’adempimento degli esami di maturità per i ragazzi iscritti agli istituti coinvolti nella alluvione. Nel decreto maltempo si sta valutando anche la possibilità di didattica a distanza sia per i licei che per le università.

È stato stabilito anche il rinvio dei processi civili e penali nel caso una delle parti o l’avvocato difensore risiedano nelle zone colpite dall’alluvione. Sono state poi autorizzate estrazioni straordinarie di superenalotto e lotto dedicate all’emergenza per coprire alcune delle spese.

Iveco e Nikola, matrimonio finito

Iveco e Nikola dopo quattro anni di collaborazione decidono di interrompere il proprio matrimonio aziendale, dividendo le proprie strade. L’annuncio è stato dato da una nota ufficiale firmata da entrambi i gruppi.

Il “divorzio da amici” di Iveco e Nikola

La loro unione ha vissuto la pandemia, qualche piccola criticità ma è stata anche caratterizzata da un proficuo lavoro comune. Ed hanno trovato soddisfacente l’aver lavorato insieme per offrire al mercato nordamericano ed europeo dei veicoli commerciali pesanti a zero emissioni. Ma con altrettanta soddisfazione annunciano l’inizio di una nuova fase.

Iveco, controllata di Exor, prenderà il pieno controllo della joint venture pagando il prezzo di uscita degli americani parte in contante e parte in azioni. L’obiettivo di Iveco è quello di cercare di assorbire l’impatto di cassa negativo nonostante la conferma dei target del 2023. Come? Generando flusso di cassa con un impatto negativo di 44 milioni di euro da inserire nel conto economico del primo trimestre di quest’anno.

Iveco e Nikola hanno sottolineato nella nota come vogliano concentrarsi sul proprio mercato di riferimento per quel che riguarda il trasporto pesante. Questo significa che l’italiana si concentrerà sull’Europa aumentando la commercializzazione e lo sviluppo di veicoli elettrici a celle a combustibile e a batteria. Mentre la statunitense metterà al primo posto il mercato americano offrendo un diverso approccio alla propria clientela. Mettendo sul piatto sia infrastrutture per la distribuzione di idrogeno tramite il marchio HYLA sia offrendo veicoli elettrici.

Due percorsi da separare per crescere

Oltre ad acquisire la partecipazione complessiva della joint venture Iveco otterrà una licenza di tipo illimitato per lo sviluppo e l’utilizzo dei software di controllo dei veicoli sopra citati. Ovvero i Bev, alimentati a batteria e gli FCEV ovvero motori elettrici alimentati a idrogeno. Programmi legati ai prodotti sviluppati insieme.

Nikola potrà invece usufruire della licenza della tecnologia Iveco S-way per il Nord America e la fornitura delle componenti necessarie diventando così contitolare della proprietà intellettuale della tecnologia sviluppata in modo congiunto. Ovvero gli assali elettrici di prima generazione. Iveco, è stato sottolineato nel comunicato, “manterrà anche un ammontare significativo di azioni Nikola”.

I due marchi nell’ultimo anno in borsa hanno avuto un percorso totalmente opposto: gli americani hanno perso fino all’83% mentre gli italiani sono cresciuti del 49%. Per quanto l’unione tra i due marchi abbia funzionato sia dal punto di vista tecnico che economico, va da sé che era giunto per entrambe il momento di muoversi da sole. In questo modo potranno adattare le loro strategie alle necessità del mercato senza archiviare perdite.