Stellantis, a rischio stabilimenti in Italia?

Sono a rischio gli stabilimenti italiani di Stellantis? E’ questa l’impressione che si ha leggendo il botta e risposta tra il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ceo del gruppo Carlos Tavares.

Stellantis e Governo ai ferri corti?

Al netto della diatriba verbale, il problema consta nel fatto che quel che si evince è che due degli stabilimenti più importanti di Stellantis sul territorio italiano rischiano di essere ancora più in difficoltà di quanto siano attualmente.

Gli scambi tra i due non sottintendono niente di meglio. Il botta e risposta a distanza è nato nel momento in cui il presidente del Consiglio ha iniziato a criticare alcuni comportamenti del gruppo per quel che concerne gli investimenti.

Non è fattore ignoto che Stellantis, al pari di altre aziende automotive starebbero orientando parte degli investimenti in Africa. Tutto legittimo, ovviamente, se non fosse che in Italia alcuni rami di azienda sono ancora in cassa integrazione. E quindi viene spontaneo chiedersi: perché mentre in Italia la situazione è precaria si investe da altre parti?

Il governo ha ovviamente fatto sentire la sua voce. Tavares dal canto suo ha risposto a tono. Nel corso di una intervista con Bloomberg ha cercato di rispondere a ogni accusa. E ha sottolineato che in realtà l’Esecutivo “evita di assumersi la responsabilità del fatto che, se non si danno sussidi per l’acquisto di veicoli elettrici, allora si mettono a rischio gli stabilimenti italiani”.

Il discorso sulle auto elettriche e il loro mercato è ovviamente più ampio e non riducibile solo a tale commento. Bisognerebbe chiamare in causa il parere dei sindacati e le rassicurazioni giunte da Stellantis in passato sull’occupazione.

Gli impianti potenzialmente a rischio

stellantis esordio in borsa

A essere a rischio, in base a quel che si evince, sarebbero Pomigliano e Mirafiori che producono rispettivamente Fiat Panda, suv Alfa Romeo Tonale e Dodge Hornet e Fiat 500 bev e Maserati GT e GC.

Per il ceo di Stellantis sono questi gli stabilimenti che pagano una politica di supporto non adeguata da parte del Governo Italiano. Il quale dovrebbe sostenere meglio, attraverso incentivi per l’elettrico, l’occupazione.

Sebbene sia comprensibile che Stellantis voglia rispedire al mittente le accuse, viene da chiedersi se non sottintenda di voler avere ulteriori incentivi per mantenere i due impianti aperti, quando comunque il piano di investimenti dell’azienda continua.

Non è mancata una risposta da Tavares alla Meloni anche per quel che concerne le accuse relative alla fusione tra FCA e PSA. Secondo il presidente del Consiglio più che un’operazione di questo tipo sembra essere avvenuta una cessione di FCA ai francesi.

Il problema è forse la mancanza dell’Esecutivo all’interno del cda di Stellantis?

Ita-Lufthansa, decisione rinviata a giugno

Ita Airways-Lufthansa? La decisione viene rimandata al prossimo giugno. La ragione è l’indagine approfondita voluta dalla Commissione Europea per comprendere meglio il dossier.

Ancora un rinvio per Ita

In questo modo si passa direttamente alla fase 2 dell’esame dell’Antitrust. Forse ci si aspettavano tempi meno lunghi per questa decisione riguardante Ita Airways. La decisione di aprire un’indagine approfondita sull’operazione e acquisizione del capitale nasce per via di alcune preoccupazioni legate alla concorrenza. Secondo Bruxelles infatti l’operazione potrebbe portare a una riduzione di questa su alcune rotte a lungo raggio e a corto raggio.

Il MEF ha immediatamente commentato sottolineando che l’Esecutivo continua con decisione nel percorso intrapreso, nella speranza che si possa arrivare una decisione prima del 6 giugno prossimo. La decisione della Commissione europea in merito all’operazione Ita-Lufthansa arriva per un motivo. Ovvero perché gli impegni presentati dal vettore tedesco in merito alla cessione dello slot di Linate e alcune frequenze Europa-Stati Uniti non sono state ritenute sufficienti.

Come ha sottolineato Margarethe Vestager la commissione europea vuole verificare che questa fusione non porti ha una riduzione della concorrenza e a un aumento dei prezzi. Tra gli scenari da verificare è anche quello che riguarda l’attività del vettore italiano, di Lufthansa e dei partner di Star Alliance (Air Canada e United) e come debbano essere gestiti una volta che avverrà la fusione.

La Commissione europea, quindi, vuole vederci chiaro prima di dare l’assenso a questa operazione. Non perché le due compagnie siano considerate non adatte, ma perché si vuole verificare che non vengano a crearsi situazioni scomode a livello concorrenziale all’interno del mercato.

Necessità di controlli approfonditi

Il Ministero del Tesoro e Ita Airways si aspettavano controlli di questo genere, sebbene non così approfonditi. Lufthansa continua a essere fiduciosa, sebbene sembri vagamente irritata dall’atteggiamento dell’Antitrust europeo. Ha comunque sottolineato di essere convinta che la procedura verrà autorizzata e che il vettore italiano diventerà “una parte complementare importante del sistema multi hub” tedesco.

È evidente che un’operazione di questa portata necessiti di controlli approfonditi, soprattutto data la storia passata di Alitalia. Ita è una newco ben strutturata e snellita al punto giusto per rappresentare un ottimo guadagno per Lufthansa. A tal punto che, ovviamente, l’Antitrust europeo necessita di accertarsi che non porti squilibri all’interno del mercato comunitario.

Una cosa è certa: quando si tratta del vettore italiano sembra che la possibilità di un assenso al primo colpo sia qualcosa di estremamente difficile da ottenere. Non resta altro che attendere quindi la conclusione della indagine approfondita.

Bitcoin, Sec dà via libera ad ETF

L’ETF su Bitcoin è realtà: la Sec statunitense ha dato il via libera a questo prodotto finanziario. Stupendo tutti coloro che pensavano che sarebbe arrivato un No a questa prima richiesta.

Bitcoin sale dopo annuncio

Dobbiamo ammettere che si è trattato di un sì decisamente atteso e sofferto, ma l’assenso al primo ETF legato a Bitcoin a Wall Street è arrivato con tutto ciò che questa decisione rappresenta. Il 10 gennaio rimarrà nella storia della Securities Exchange Commission e anche in quella delle criptovalute.

È questo infatti il giorno in cui la Sec ha accettato tutte le 11 domande in attesa per quel che concerne il fondo passivo o ETF fisico. E quindi garantito da collaterale sul prezzo di mercato (o spot) di Bitcoin. Inutile dire che la decisione ha portato il valore della valuta digitale di Satoshi Nakamoto a risalire sopra i 46 mila dollari, portando nuovamente sui mille miliardi di dollari la capitalizzazione della moneta.

Per ciò che riguarda le quotazioni le prossime ore saranno importanti. Soprattutto perché gli investitori possono muoversi in due direzioni. La prima è quella della ulteriore crescita sulla scia del buon momento o quella del “sell the news“, ovvero la vendita dell’asset per monetizzare dopo tanta pazienza.

Una legittimazione davvero importante

Messa da parte questa considerazione, il via libera all’ETF sul Bitcoin rappresenta davvero un momento importante nella storia finanziaria generale. E ancor più per questa valuta. In tanti fanno il paragone con il lancio del primo ETF sull’oro a Wall Street del 2004. C’è chi sostiene che a lavorare a favore dell’assenso sia stata anche la presenza della domanda, in tal senso, da parte di BlackRock che aveva sempre ricevuto sì in tal senso per gli EFT. Parliamo di ben 575 richieste andate a buon fine.

Dobbiamo ricordare che la prima domanda di ETF su Bitcoin è stata depositata nel 2018 da VanEck, che finalmente ha ricevuto anch’esso parere positivo. Va detto che la Sec, prima di aprire le porte di Wall Street al Bitcoin, ha richiesto decisamente più documentazione rispetto al passato.

Fino a ora alla Borsa di New York il Bitcoin era entrato solo con contratti future, autorizzati nel dicembre del 2017. E diversi da un ETF fisico che per sua natura, replicando un prezzo spot obbliga gli emittenti ad acquistare il collaterale seguendo la crescita della domanda. Ma ancor più importante, con il sì della Sec la valuta ottiene una legittimazione davvero importante. La quale potrà rappresentare un’ottima base per rendere questa crypto ancora più attraente agli occhi degli investitori istituzionali.

 

 

Bitcoin cala sotto pressione approvazione Etf

Il Bitcoin sente la pressione legata all’approvazione degli ETF e arriva a perdere fino al 9,2%, scendendo al di sotto dei 41.000 dollari.

Il calo di Bitcoin dettato dall’incertezza

È indubbio che questo passaggio sia importante per la valuta ideata da Satoshi Nakamoto e in generale per il mondo delle criptovalute. Ancora una volta il Bitcoin ci dimostra come anche solo l’attesa di una decisione importante per il suo futuro possa influenzare il suo andamento.

Ecco quindi che, in parte inaspettatamente, già dai primi giorni di gennaio è possibile essere testimoni di una pressione al ribasso. Soprattutto per quel che riguarda la valuta in questione. Un vero peccato, dato il fatto che solo 24 ore prima del calo aveva raggiunto i 45.000 dollari. Praticamente il suo picco degli ultimi 21 mesi. Nel momento in cui stiamo scrivendo il valore è già nuovamente risalito, anche se non al suo massimo.

Non stupisce, in generale, che il Bitcoin possa salire e scendere in maniera improvvisa. E sicuramente anche in questo caso sono diversi i fattori che hanno concorso a questa tipologia di andamento. Ma è impossibile non dare la giusta rilevanza all’attesa della imminente decisione della Sec, la Security and Exchange Commission statunitense per quel che riguarda il lancio di un ETF legato a Bitcoin.

Questo tipo di prodotto finanziario è stato pensato generalmente per tenere traccia di un indice, di obbligazioni, di una merce o di un paniere di attività. Gli ETF danno modo agli investitori di vendere o acquistare quote di un fondo durante la sessione di mercato in qualsiasi momento Sfruttando una flessibilità maggiore rispetto a quel che succede coi fondi comuni di investimento i cui scambi avvengono solo a fine giornata.

Importante la posizione della Sec

A cosa porterebbe un ETF legato a Bitcoin? Senza dubbio renderebbe più semplice l’accesso a questa criptovaluta per gli investitori tradizionali. Questi infatti potrebbero non amare particolarmente eseguire degli scambi direttamente in Bitcoin.

Tra l’altro un’approvazione di questo prodotto da parte della Sec potrebbe davvero rivelarsi un apripista nei confronti della legittimazione di questa valuta digitale all’interno dei mercati finanziari di tipo tradizionale. È per questa ragione che il mercato delle criptovalute segue da vicino questo processo.

Se la Sec dovesse esprimere parere positivo, di sicuro la fiducia degli investitori nelle criptovalute potrebbe aumentare. Le posizioni sono differenti: c’è chi pensa che la Sec avrà il coraggio di fare questo passo e chi pensa invece che le richieste verranno respinte al momento, per poi provvedere a una approvazione successivamente. Ed è proprio questa incertezza sui tempi che spinge la volatilità del Bitcoin.

Elon Musk pronto a scalata economia italiana?

Elon Musk è pronto a una scalata tutta italiana per entrare di peso nella nostra economia? Da quel che si evince da indiscrezioni stampa il ceo di Tesla, Space X e di Twitter avrebbe proprio questa intenzione.

elon musk più ricco mondo

Elon Musk interessato alla banda larga

E a tale scopo avrebbe dato vita a incontri con le istituzioni. Secondo Il Sole 24 ore, infatti. Elon Musk sarebbe impegnato in una trattativa con il Dipartimento per la trasformazione digitale, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy. E anche con la presidenza del Consiglio per comprendere se vi sia margine per una sua partecipazione come investitore a progetti legati alla diffusione della banda ultra larga. Nonché al superamento del digital divide attraverso il suo Starlink e alla connessione internet via satellite.

Da quel che è stato possibile comprendere quindi Elon Musk avrebbe avviato un tavolo prima di tutto con Open Fiber, nel nostro paese concessionaria statale per quel che concerne Internet ad alta velocità. E tra le altre cose vincitrice insieme a Tim di “Italia a 1 giga“, la fara del PNRR per la copertura delle aree grigie. Starlink potrebbe, con il suo servizio di connessione, rappresentare un integrazione tra la tecnologia mista Fwa e la fibra ottica. Insomma, Elon Musk avrebbe da guadagnarci. Tanto quanto Open Fiber, in caso.

Impatto inesistente su Tim

Nel caso di una discesa in campo di Elon Musk come investitore nelle telecomunicazioni, gli analisti di Intermonte non vedono problematiche di sorta per Tim. L’ex monopolista è infatti impegnata nella vendita della sua infrastruttura di rete. Quel che sarebbe interessante scoprire è se rappresenterebbe un operatore ex novo o un collaboratore di Open Fiber. In questo secondo caso il vantaggio della sua presenza sarebbe sfruttabile da tutti i reseller presenti sul territorio.

Gli stessi analisti non escludono invece un impatto non propriamente positivo per operatori Fwa come Linkem ed Eolo che potrebbero risentire di un ulteriore interlocutore. Sebbene venga sottolineato come negli Stati Uniti l’alternativa di Starlink abbia portato gli altri operatori Fwa ad aumentare gli investimenti.  Soprattutto dove la copertura non era importante.

Va detto che generalmente non si calcolano altri impatti su operatori più piccoli. Sarà in generale interessante vedere come Elon Musk si muoverà davvero una volta entrato realmente nella partita. Le sue risorse potrebbero attirarlo nel voler partecipare di più e sarebbe interessante vederlo rapportarsi come realtà simili a Vivendi. Tanto per citarne una.

Le trattative con il Governo a quanto pare sono già aperte. Non resta che vedere cosa accadrà.

Coinbase prevede mercato positivo criptovalute nel 2024

Secondo Coinbase il mercato delle criptovalute nel 2024 sarà destinato a crescere. In una analisi condotta di recente, infatti, ha messo a disposizione una previsione di tipo positivo dal nome Coinbase 2024 cryptocurrency Market Forecast.

Cosa si aspetta Coinbase dal 2024

Un rapporto questo che analizza la potenziale espansione e durata delle valute digitali in quest’ultimo periodo. Quest’anno le criptovalute ci hanno messo davanti a un andamento altalenante, fortemente influenzato dalle problematiche geopolitiche presentatesi nel corso di mesi.

Coinbase, nel suo documento, dà essenzialmente un colpo al cerchio e uno alla botte. Questo perché, pur prevedendo una crescita del mercato, non se la sente di asserire che sia possibile smentire in modo completo gli scettici. “Riteniamo”, sottolinea infatti, “che sarebbe troppo presto per definire questa fase o per interpretare le tendenze favorevoli come una smentita definitiva agli scettici che hanno dichiarato prematuramente la caduta delle criptovalute”.

Quel che appare “evidente è che”, spiega, “nonostante le sfide lanciate a questa categoria di asset, i progressi osservati nell’ultimo anno hanno superato le previsioni. Questi sviluppi”, prosegue, “confermano che le criptovalute sono durature

Ovviamente, viene sottolineato nelle analisi, quel che bisogna capire per il prossimo anno è come capitalizzare nel modo giusto, dando vita a dei sistemi migliori. Tra le altre cose, Coinbase prevede che gli investimenti istituzionali rimarranno comunque concentrati su Bitcoin, soprattutto per quel che concerne i primi sei mesi del prossimo anno.

Alto l’interesse degli investitori tradizionali

Una tendenza probabilmente legata all’interesse sempre più alto che gli investitori tradizionali stanno dedicando alle cripto. A sostenere questo maggiorato interesse dovrebbe esservi anche ciò che avviene a livello normativo: ovvero una maggiore spinta a regolarizzare. Qualcosa che rende possibile lo stimolo degli investitori ad attenzionare quegli asset comprendenti un rischio più alto.

Allo stesso tempo avranno il loro peso nel 2024, secondo Coinbase, anche gli sforzi dei programmatori nel mettere a disposizione strumenti per uno sfruttamento semplice delle criptovalute. E quindi il conseguente miglioramento del rapporto tra gli utenti e queste valute digitali.

Le previsioni di Coinbase, a differenza di altre, cercano di rimanere ancorate con i piedi a terra. E’ infatti facile lasciarsi andare ad annunci stupefacenti capaci di essere smentiti dalla prima criticità geopolitica. Non va dimenticato che le valute digitali sono degli asset molto volatili. Un’analisi seria ma scevra da particolari entusiasmi può rivelarsi più esatta di qualsiasi altre. Tutto è comprendere quanto effettivamente il mercato sia disposto a prendere e a lasciare. Di certo i cambiamenti, anche tecnologici, avranno il loro peso sul suo andamento.

Azioni USA in calo, cosa significa

Il calo delle azioni USA è qualcosa che non ci si aspettava. Gli ultimi giorni di contrattazione in Borsa hanno evidenziato come la crescita non sia più da dare così scontata.

Cosa sta accadendo alle azioni USA tecnologiche?

Nessun allarmismo, ovviamente. Ma appare curioso che quelli che sono stati considerati come i magnifici 7, ovvero le Big cap dell’S&P 500 stiano vivendo una inversione di tendenza. Mettendo in qualche modo in discussione la sostenibilità nella crescita in conto capitale. Parliamo delle società a forte contenuto tecnologico che già nella prima metà di quest’anno hanno mantenuto attivo il dibattito che le riguarda. .

E quindi è arrivato il momento di chiedersi, pensando a queste azioni USA, se non stia per palesarsi un nuovo periodo di ribasso. In particolare ci riferiamo a Meta, Apple, Netflix, Amazon, Google e i loro titoli corrispettivi. Quelle azioni USA che sono in grado in qualche modo di fare il buono e il cattivo tempo proprio per il loro campo di azione.

Tecnicamente il loro indice è chiamato FAANG ed è possibile notare un andamento contrario dei prezzi, iniziato successivamente alla rottura dei massimi del 2023, avvenuti a luglio. Al momento la contrazione dei l’indice FAANG è arrivata al 4% rispetto ai massimi registrati, ma Meta in particolare sta facendo registrare una flessione intorno al 5%.

Fattore questo che sta portando gli analisti a riflettere su come potranno comportarsi le azioni USA in generale, se quelli appartenenti a questo indice stanno mostrando una certa debolezza.

Attenzione anche ai dati macroeconomici

È importante non dimenticare di aggiungere a questo quadro quelli che sono i dati macroeconomici statunitensi generali. Non sono solo le azioni USA a dettare il buono e cattivo tempo economicamente. Dobbiamo tenere conto dell’inflazione, in calo rispetto al passato, ma pur sempre non al livello del 2% tanto agognato.

Dobbiamo pensare alla politica economica della Fed che, sebbene abbia fermato il rialzo dei tassi, non sembra essere intenzionata al momento a eseguire dei tagli. Tutto quindi collabora alla creazione di una certa situazione, che non può essere risolta con uno schiocco di dita. E non è un caso che questo ribasso delle azioni dei tecnologici sia saltato fuori in concomitanza con la divulgazione dei dati relativi al PIL statunitense.

Assurdamente, la positività di questi dati va in contrasto col raggiungimento degli obiettivi della Banca centrale in materia di politica monetaria. Ragione per la quale sarà necessario per gli Stati Uniti trovare un nuovo equilibrio. E osservare l’andamenti questi grandi per prevedere cosa potrà accadere.

BCE, a rischio stabilità bancaria

La BCE sottolinea che In Europa vi sono rischi sia in merito a una potenziale recessione che alla stabilità bancaria. E la colpa sarebbe da ricercare a livello globale.

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I timori della BCE in merito all’economia europea

Il rapporto sulla stabilità finanziaria presentato questo novembre dalla Banca centrale europea è abbastanza chiaro. I mercati sono a rischio, principalmente per via di ciò che sta succedendo in Medio Oriente e per le varie tensioni a livello geopolitico. È possibile, già ora, prevedere che la situazione porterà a potenziali criticità future.

Per la BCE il rischio di recessione è più che concreto. E andrebbe a inficiare una situazione già particolare dal punto di vista economico. Come da ormai alcuni mesi il problema è lo stato di incertezza che sta conquistando diversi settori e che potrebbe rendere ancora più complesso il quadro. La stabilità finanziaria in Europa è attaccata su diversi fronti e in particolare Il Medio Oriente rischia di influenzare più del necessario l’intera situazione.

Si è già parlato in tal senso di crisi energetica ma potrebbe calare anche la fiducia degli investitori. Non dobbiamo dimenticare che in questo momento l’Europa è caratterizzata da una crescita debole  e la BCE sottolinea come lo stato di incertezza potrebbe allontanare gli investitori e fermare ancor di più la nostra economia.

È palese che siano già presenti condizioni finanziarie più restrittive, anche se il vero impatto sull’economia europea non è ancora arrivato. Secondo la BCE il problema riguarda riguarderà sia i settori non finanziari che quelli finanziari. Tutti avranno a che fare con costi più alti.

Cosa può accadere al settore bancario

Un esempio di tutto ciò è il mercato immobiliare dove sta avvenendo una contrazione dei prezzi collegata alla maggiore difficoltà per i consumatori di ottenere un mutuo. Anche l’immobiliare commerciale non va come dovrebbe, caratterizzato da una domanda più bassa a causa dei problemi riscontrati nel corso della pandemia.

Secondo la BCE al momento si salverebbe il settore bancario. A prescindere dagli shock subiti nel periodo post pandemico le banche sono caratterizzate da un aumento della redditività. Questo non deve portare a ignorare però i rischi già presenti. Ci sono possibilità che gli attivi bancari incontreranno problemi a livello qualitativo e che crescano i costi di finanziamento delle banche. Potrebbero presentarsi problemi anche per la redditività bancaria che secondo la BCE potrebbe essere trainata negativamente da un calo rilevante dei volumi di prestito.
Deve essere sottolineato però che, secondo la Banca centrale europea, il settore potrebbe essere abbastanza forte da riuscire a non subire conseguenze.

Mario Draghi, rischio recessione ma senza paura

Mario Draghi ipotizza l’arrivo di una recessione in Europa. Ma non pensa che questa possa essere talmente dannosa da metterne a repentaglio l’economia.

Mario Draghi e la recessione

È questo il pensiero espresso da Mario Draghi parlando con il Financial Times e più nello specifico con Martin Wolf. Ed è facile notare quanto l’economista confermi ancora una volta di saper fare il suo lavoro. Comunicando dei giudizi in modo serio e posato senza che questi possano apportare problematiche al mercato. Anche solo di riflesso.

Mario Draghi è tra i migliori del suo settore di appartenenza e il suo curriculum parla da sé. Sa che le sue parole hanno un peso specifico per quel che riguarda l’economia. E quindi, pur sottolineando che quella della recessione è una concreta possibilità, spiega anche che l’Unione Europea, alla fine, non ha molto da temere.

Dato che possiede i mezzi per uscirne. “C’è un rischio di recessione ma non direi né profondo né destabilizzante” spiega. Perché “il punto di partenza è molto alto, con la disoccupazione più bassa di sempre e un mercato del lavoro robusto“. Qualche criticità potrebbe presentarsi quindi, ma affrontabile.

Al contrario, per Mario Draghi l’Unione Europea dovrebbe farsi delle domande sulla propria produttività, visto che nonostante la sua resilienza ci troviamo dietro a Stati Uniti, Giappone, Cina e Sud Corea. Secondo Draghi dovremmo affrontare velocemente questo problema, promuovendo “investimenti ad alto valore aggiunto e ad alto tasso di tecnologia“.

E più nello specifico dando vita a dei poli tecnologici come quelli del Regno Unito e degli Stati Uniti, partendo “dal capitale umano” e di conseguenza dalle competenze.

Focus anche sull’energia

Parlando con il Financial Times, Mario Draghi focalizza il suo discorso sull’energia e sulla sua utilità, specificando che “non andiamo da nessuna parte se la paghiamo due o tre volte quanto costa nel resto del mondo“. Dovremmo, spiega, concentrarci sul creare delle politiche di stoccaggio e approvvigionamento di tipo comune agendo il più in fretta possibile per quel che riguarda in particolare le fonti rinnovabili.

L’ex premier italiano racconta anche quanto sia rilevante muoversi sul rispetto dei valori comuni in Europa, onde evitare di rimanere in futuro solo un semplice mercato libero di scambio. Non è un caso che Ursula Von der Leyen gli abbia affidato un certo compito in merito all’Unione. Le sue stesse parole illustrano con estrema facilità perché sia la persona giusta.

Sul tema degli investimenti concernenti la difesa, sottolinea inoltre che l’Europa fa bene a spendere, ma deve anche imparare a “fare”. In modo tale che possa essere sostenuta un’anima comunitaria davanti le difficoltà e non una serie frammentata di Stati.

FTX, Sam Bankman-Fried colpevole di truffa

L’ex ceo di FTX Sam Bankman-Fried rischia fino al 100 anni di carcere. È stato infatti dichiarato colpevole di cospirazione, riciclaggio di denaro e frode telematica.

Ceo di FTX colpevole di diversi reati

Tutto in merito al crollo della sua piattaforma di trading online FTX. A soli 31 anni rischia di non vedere più il cielo da persona libera. In base all’accusa contestatagli dai procuratori federali Sam Bankman-Fried avrebbe sottratto circa 10 miliardi di dollari dai wallet dei propri clienti per utilizzarli per scopi personali. Tra di essi vi sarebbe soprattutto la copertura dei danni causati da un’altra società, la Alameda Research. I fondi però sarebbero anche stati destinati a donazioni verso partiti politici e al sostentamento nella sua vita di lusso.

Tutto è saltato fuori nel momento in cui è collassata FTX. La bancarotta della società ha infatti fatto emergere tutti gli illeciti collegati. I giurati chiamati al decretarne la colpevolezza hanno deciso in fretta. Il verdetto infatti è arrivato dopo meno di 5 ore di camera di consiglio. Lo stesso processo è stato molto veloce, è durato circa un mese: la pena verrà annunciata il prossimo 28 marzo dal giudice che si è occupato della causa, ovvero Lewis Kaplan.

L’ex ceo di FTX è stato ritenuto colpevole di tutti e sette i capi d’accusa, per i quali rischia un totale di anni pari a un secolo. “Rispettiamo la decisione dei giurati”, hanno commentato i suoi legali, “ma siamo molto delusi dal risultato. Il signor Bankman-Fried “, hanno sottolineato, “si ritiene innocente e continuerà con vigore a difendersi dalle accuse“.

La pena potrebbe essere molto alta

I legali dell’uomo hanno già fatto sapere che ricorreranno in appello. Il procuratore che si è occupato del caso ha sottolineato come, sebbene la casistica relativa a FTX sia abbastanza nuova dal punto di vista legale, il reato di frode sia tra i più vecchi perseguibili. Ragione per la quale è semplice decidere su colpevolezza o innocenza.

Il crollo di FTX ha causato danni importanti nel settore, danneggiando moltissimi investitori. Una pena di detentiva decisamente alta sarebbe più che comprensibile se fosse commissionata. Soprattutto perché rappresenterebbe uno spartiacque all’interno del mondo delle criptovalute, uno di quelli meno regolamentati in tutto il mondo.

E’ proprio questo il punto debole sul quale la maggior parte dei legislatori a livello globale sta lavorando per poter creare un mercato davvero sicuro. Nel caso specifico effettivamente la cripto nel senso stretto è irrilevante. A essere stati presi senza il consenso sono stati dei soldi appartenenti ai risparmiatori.

 

Antitrust multa Vodafone, WindTre, Telecom e Fastweb

L’Antitrust multa Telecom, Vodafone, Fastweb e WindTre con una sanzione da 200 milioni di euro legata alla tipologia di fatturazione. Scopriamone insieme di più.

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Perché l’Antitrust ha multato le compagnie telefoniche

La multa erogata dall’Antitrust è conseguenza diretta di una rimodulazione occorsa in seguito alla sentenza del Consiglio di Stato che chiude il procedimento in atto legato alla fatturazione a 28 giorni. Secondo l’autorità le compagnie ci sono accordate in una intesa restrittiva segreta, complessa e continuata della concorrenza. All’interno del bollettino dell’Antitrust viene sottolineato come questo accordo abbia impedito lo svolgersi corretto delle dinamiche di tipo concorrenziale tra gli operatori del mercato dei servizi di telefonia mobile e fissa.

La sanzione erogata è stata accolta con soddisfazione in particolare dall’Unione Nazionale Consumatori attraverso il suo presidente Massimiliano Dona. Il quale ha sottolineato che l’associazione avrebbe preferito però una multa più alta attraverso una nota.

Purtroppo la politica dilatoria delle compagnie telefoniche”, spiega nel comunicato, “che si arrampicano sui muri a caccia di cavilli legali pur di poter fare i loro comodi, dimostra che servono maggiori poteri per le Authority. E una giustizia amministrativa più efficiente, rapida e più attenta a difendere la parte debole dei rapporti contrattuali”.

In molti forse nemmeno lo ricorderanno ma per un periodo le grandi compagnie fornitrici di servizi hanno fatturato su una base di 28 giorni, portando i consumatori ad avere a che fare con una maggiore spesa. Qualcosa che non è durato molto ma che è stato in grado di fare abbastanza danni.

Serve maggiore velocità nei controlli

A prescindere dal coinvolgimento delle compagnie telefoniche sopra citate, va sottolineato che tutti questi anni per ottenere una sentenza sono inaccettabili. Ragione per la quale, quando si parla di giustizia amministrativa, non si può non allinearsi con ciò espresso da Massimiliano Dona.

Anche quando questo tipo di azione viene accertata, ciò avviene dopo anni. E non è di immediata consapevolezza per il consumatore. Il quale si trova a pagare questa sua “ignoranza” che viene sanata solo con l’intervento di agenzie come l’Antitrust. Come accaduto in questo caso.

È grazie a loro, infatti, che è possibile scoprire eventuali doli. Dovremmo spingere come consumatori per poter ottenere che l’Authority abbiano maggiori poteri. E che la giustizia amministrativa possa muoversi con più celerità evitando a noi ignari consumatori di rimanere vittime di andamenti del mercato che potrebbero essere totalmente differenti.

Duecento milioni non saranno tanti per grandi compagnie. Ma la multa rappresenta un precedente che dovrebbe agire come deterrente per azioni simili in futuro.

Israele, conseguenze del conflitto in Italia

Israele è stato attaccato da Hamas. Questo e la reazione dello Stato orientale di sicuro avranno conseguenze in Europa e in Italia. Ma quali potrebbero essere?

Conseguenze dell’attacco in Israele

Effettivamente, già ora, è possibile notare delle risposte economiche all’attacco subito da Israele. E possiamo partire elencando ciò che sta accadendo con il greggio. Il prezzo del petrolio è infatti salito, andando a inficiare il già precario rapporto tra i portafogli italiani e il prezzo dei carburanti.

Ovviamente il prezzo più alto che al momento si sta pagando è quello umanitario. E tutti noi dobbiamo cercare di aiutare le popolazioni in difficoltà. Ma è innegabile che per quanto Israele sembri lontana geograficamente da noi, e non lo è in realtà, ciò che sta succedendo nello stato israeliano, a livello economico, ci sta influenzando.

Al momento le conseguenze dell’attacco a Israele sono abbastanza gestibili. Ma è palese che sia il petrolio che l’oro come materia prima siano cresciuti di prezzo. E che il conflitto porterà senza dubbio conseguenze di lungo periodo sugli investimenti. Soprattutto se dovesse protrarsi. Chi si prenderà infatti il rischio di investire?

La situazione in Italia

Per quel che riguarda l’Italia, in particolare la Borsa e lo spread hanno subito le maggiori ripercussioni. Questo perché la situazione in Israele va a complicarne una di base già abbastanza complessa. Lo spread all’apertura il 10 ottobre ha fatto registrare un livello di 207. Se l’andamento degli ultimi giorni dovesse trovare conferma vedremmo assottigliarsi ancora di più i margini di manovra relativi alla politica economica.

Non dobbiamo dimenticare che in Italia i costi di finanziamento del debito sono già alti. Se aggiungiamo l’incertezza generale dobbiamo anche potenzialmente aspettarci un attacco speculativo nei confronti del nostro paese.

Israele lascia la sua scia pure sulle borse. Anche se Piazza Affari sembra comportarsi bene nonostante tutto, per ora. E’ importante che più generalmente ricordiamo che il crescere del prezzo del petrolio causa nel nostro paese delle difficoltà sia alle imprese che ai privati cittadini. Entrambi stanno ancora combattendo con le conseguenze della precedente crisi energetica causata dall’attacco della Russia sull’Ucraina.

L’attacco di Hamas su Israele potrebbe fare lo stesso. Il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso ha evidenziato di recente come l’attacco a Israele crei “una situazione di emergenza che rischia di far esplodere altre problematiche, per esempio per l’energia. Così come è accaduto per la guerra di Russia in Ucraina per il gas“, ha spiegato, “potrebbe accadere di nuovo perché da quei Paesi del Nord Africa arrivano altre risorse”.

Italo, MSC acquista il 50%

Italo passa nelle mani del gruppo MSC della famiglia Aponte. La società ha infatti rilevato il 50% del capitale da Global Infrastructure Partners. Si tratta della conclusione di una trattativa iniziata ancor prima dell’estate 2023.

Italo e l’entrata di Aponte

L’acquisto del 50% di Italo da parte di MSC ovviamente porta a un riassetto societario dove gli svizzeri deterranno la quota sopra descritta mentre GIP passa dall’iniziale 72,6% all’attuale 35%.

Era da tempo che ci si aspettava un cambio all’interno di Italo. Il fatto che vado accaparrarsi il capitale sia la famiglia Aponte sottintende cambiamenti che potrebbero rivelarsi decisamente interessanti. Soprattutto per quello che concerne la competitività del trasporto su rotaia unito ai viaggi in mare.

La nota pubblicate in merito all’operazione sottolinea come lo scopo sia quello di stabilire “un partenariato strategico di lungo periodo per lo sviluppo futuro di Italo”. Dobbiamo sottolineare che la restante quota, non posseduta da MSC, rimane di proprietà di GIP. La quale non solo avrà all’interno della società una governance congiunta con il gruppo della famiglia Aponte, ma anche con alcuni rappresentanti del gruppo Allianz e altri investitori.

Di certo l’acquisto del capitale di Italo da parte di MSC dimostra come il gruppo sia ancora fortemente interessato a investire in Italia. E più in particolare ovviamente sul settore dei trasporti. Diego Aponte ha sottolineato che l’accordo raggiunto dimostra “il sostegno al trasporto ferroviario passeggeri ad alta velocità” italiano.

Tra gli obiettivi il trasporto sostenibile

Tra gli obiettivi del gruppo, aggiunto, vi è quello di uno sviluppo ulteriore di altre modalità di trasporto di tipo sostenibile sia per le merci che per le persone. Ovviamente questo accordo verrà finalizzato definitivamente con la soddisfazione delle condizioni necessarie come l’ottenimento delle autorizzazioni regolamentari e di concorrenza.

Non sono stati resi noti altri dettagli in merito all’operazione, ma secondo indiscrezioni, economicamente l’operazione verrà fondata su un equity value di circa 3,2 miliardi al netto di 900 milioni di debito.

È inutile dire che l’ingresso di MSC all’interno di Italo mette sul tavolo diverse aspettative. Non dobbiamo dimenticare che la compagnia è tra quelle leader per quel che concerne il trasporto marittimo. Vediamo abbastanza facilmente la stessa applicare il know how del suo principale settore di appartenenza anche all’interno di quello dei trasporti su rotaia.

Italo già spiccava rispetto a FS per la qualità del trasporto. C’è con molta probabilità da aspettarsi che la stessa possa ulteriormente migliorare. Non resta che vedere cosa accadrà nel momento in cui l’operazione verrà completata definitivamente e potremo toccare con mano i cambiamenti.

Fed non alza i tassi, ma Wall Street scende

La Fed non aumenta ulteriormente i tassi di interesse ma Wall Street, nel corso del discorso del presidente Jerome Powell, tende al ribasso. Scopriamo insieme il perché.

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La decisione della Fed

Il Federal open market Committee (Fomc) della Fed ha deciso per uno stop al rialzo dei tassi nell’ultima riunione. Questo significa che i governatori responsabili della politica monetaria del paese hanno optato per non spostare questi dall’intervallo contenuto tra il 5,25% e il 5,50%. Parliamo del valore più alto dal 2001.

Anche questa decisione, come tutte le altre, è stata presa in base ai dati relativi all’economia statunitense ottenuti fino a questo momento. Si è trattato di una decisione unanime presa da tutti e 12 membri. Questa nello specifico è la seconda volta, dal marzo 2022, che la Fed decide di fermare l’aumento dei tassi. Nelle altre 11 riunioni, proprio per combattere l’inflazione, la decisione ha sempre puntato sul rialzo del costo del denaro.

Non dobbiamo dimenticare che i tassi di interesse erano stati abbassati nel 2020 per combattere le conseguenze della pandemia di coronavirus. Al momento il vero nemico è l’inflazione e per tale ragione c’è bisogno di seguire una politica monetaria restrittiva.

È necessario comprendere che globalmente, con molta probabilità, i tassi cresceranno ancora entro la fine dell’anno. Tutte le banche centrali si stanno regolando in base ai dati che arrivano mese per mese. Qui è possibile introdurre perché il Wall Street abbia teso a ribasso dopo una particolare affermazione di Jerome Powell.

La reazione di Wall Street

FED ed elezioni Olanda spingono economia

Questo tipo di reazione è arrivata quando il presidente della Fed ha sottolineato che con molta probabilità i tassi verranno abbassati solamente intorno alla fine del 2024. La borsa ha, con molta probabilità, interpretato in maniera sbagliata le prime parole del responsabile dell’istituto.

E di conseguenza ha reagito poi in maniera differente. Sul breve termine, nel corso della conferenza stampa, l’economista ha spiegato che prima di decidere per i prossimi mesi, ovviamente, la commissione ha necessità di vedere cosa proporranno i dati. È possibile, più in generale, a novembre o dicembre aspettarsi un nuovo rialzo dei tassi.

La Fed deciderà in base a quello che i dati proporranno a livello economico. La situazione europea al momento è completamente diversa. Per ora infatti la BCE, pur basando le sue decisioni sullo stesso sistema, non ha al momento spazio di manovra adeguato per ipotizzare con certezza una pausa nei rialzi.

Non resta per tutti che aspettare i dati economici in arrivo nelle prossime settimane. Solo loro potranno fare maggiore chiarezza.