Le regole sui derivati accrescono i rischi degli swap cinesi

Le nuove regole che disciplinano i Credit Default Swap in Cina vengono già considerate troppo limitate, anche perché accusate di ostacolare la crescita del settore e di provocare una distorsione dei prezzi quando invece il mercato dei corporate bond è in aumento del 45%; circa ventitre accordi (1,99 miliardi di yuan per quel che riguarda il volume di affari) sono stati introdotti un mese fa, secondo quanto fatto sapere dalla People’s Bank of China, l’istituto di credito centrale dell’ex Impero Celeste. Una delle critiche più forti è giunta da Gao Feng, a capo del settore che analizza i mercati globali cinesi presso Deutsche Bank, il quale ha chiesto espressamente che i regolamenti in questione possano contenere qualche elemento più innovativo. Gli swap a cinque anni costano attualmente in media circa 81 punti base in rapporto al debito cinese (valutato col rating AAA): è ormai noto come questi specifici contratti tendano solitamente a far registrare dei rialzi non appena la fiducia dell’investitore si deteriora, mentre i ribassi sono relativi ai miglioramenti di tale confidenza.


C’è comunque da precisare che nella stessa nazione asiatica la settimana che si è conclusa ieri ha assistito a un interessante rally da parte dei titoli denominati in yuan e con scadenza nel 2020, mentre le principali piazze sono state scosse dall’annuncio della russa Rusal, la quale intende vendere obbligazioni proprio a Pechino e dintorni.

Il rendimento degli strumenti governativi con scadenza a settembre del 2020 (3,29%) è calato di sei punti base la scorsa settimana in base a quanto riscontrato dal National Interbank Funding Center; i Cds legati al debito sovrano della Cina (la scadenza è stata fissata nel 2015) sono invece calati di quattro punti base. Il già annunciato progetto di Rusal prevede l’acquisizione di alcune banche entro la fine di quest’anno, in modo da cedere bond denominati appunto in yuan fino al termine del primo trimestre del 2011.

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